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16 settembre 2017

Osservazioni sulla bozza di decreto delegato sulle intercettazioni in attuazione dell’art.1 commi 82, 83 e 84 legge n.103 del 2017

La legge n. 103 del 2017 affronta il tema delle intercettazioni telefoniche al solo fine di predisporre un presidio più efficace a tutela della privacy dei terzi e degli stessi indagati, quando le conversazioni intercettate non siano rilevanti ai fini delle indagini e della prova.
La finalità perseguita dal legislatore è stata in più occasioni apprezzata e condivisa dall'Associazione e dalla magistratura, nella convinzione che possano costituire oggetto di attenzione investigativa e giudiziaria soltanto le conversazioni rilevanti e che le indagini non debbano in alcun modo creare l'occasione per una impropria notorietà di fatti non pertinenti ai temi di prova e inerenti, invece, alla sfera privata delle persone intercettate.
Del tutto condivisibile lo spirito della legge, si tratta quindi di esprimere alcune valutazioni sulle modalità attraverso le quali questo viene interpretato e tradotto in normativa codicistica, mediante le norme della presente bozza di decreto delegato.
Considerazioni sull’art.2 della bozza di decreto delegato.
Il nuovo comma 2 bis dell’art.268 c.p.p. prevede il divieto di trascrivere conversazioni o comunicazioni prive di rilevanza. Il comma 2 ter stabilisce che il PM possa, con decreto motivato, derogare a tale divieto qualora valuti rilevante la conversazione o comunicazione rilevate a fini di prova.
Un’analoga disciplina, con toni più rigorosi, giacché la deroga del PM dovrà motivare su rilevanza e necessità, è ivi dettata per i dati sensibili.
Un primo profilo critico si rinviene dall'attribuzione alla polizia giudiziaria, in prima battuta, della valutazione circa la rilevanza o non rilevanza delle conversazioni relative a “dati personali definiti sensibili dalla legge”. Infatti solo a seguito di segnalazione della PG sarà possibile che il pubblico ministero assuma le determinazioni proprie della sua funzione. Tale dato, unito alla mancanza di ogni documentazione o indicizzazione dei contenuti delle intercettazioni escluse dalla PG, non consentirà di esercitare nessun controllo su errori di valutazione o sviste.
Peraltro la prevista possibilità che il PM possa in seguito recuperare conversazioni scartate dalla PG trova proprio qui un ostacolo. 
Come farà il PM a reputare un dato ex post rilevante (cioè successivamente alla mancata originaria redazione dei brogliacci da parte della PG) se non vi è traccia scritta di tale dato?
Le comunicazioni o le conversazioni possono ben risultare rilevanti ai fini di prova soltanto molto tempo dopo la loro captazione, atteso che la maggior parte degli elementi conoscitivi, solitamente, vengono acquisiti nel corso delle indagini e non sono già noti all'origine. Peraltro le indagini complesse, possono durare a lungo e le ore di conversazione intercettate possono arrivare ad un numero elevatissimo. Salvo ipotesi fuori dell’ordinario, nessun ufficiale di PG o magistrato del PM può conservare memoria di tutta la mole di conversazioni intercettate senza l'ausilio di una traccia scritta.
La mancanza di una qualsiasi, seppur sommaria, annotazione dei contenuti delle conversazioni riguardanti dati sensibili degli intercettati di fatto ne impedirebbe del tutto anche il loro recupero ex post; a tal fine, infatti l’indicazione della sola data, ora ed interlocutori è assolutamente insufficiente. Per sopperire a questa oggettiva disfunzionalità del testo in esame l’unica via appare essere quella di prevedere per lo meno una sintesi scritta del contenuto, che potrà essere contenuta in una apposita verbalizzazione, separata da quella già oggi prevista dal codice e mantenuta riservata anche dopo la chiusura delle indagini. 
Del resto una analoga previsione dovrà essere dettata espressamente per tutte le comunicazioni con le quali la PG sottopone al PM intercettazioni coperte dalla privacy ma di possibile utilità investigativa ex art. 268 co. 2 ter. Tali comunicazioni non potranno che essere scritte e certo dovranno essere conservate. Si profila quindi la necessità di un sotto fascicolo riservato che dovrà essere esplicitamente disciplinato dalle nuove norme che si vogliono adottare. 
Considerazioni sull’art.3 della bozza di decreto delegato.
L’udienza di selezione e di acquisizione delle conversazioni di cui al nuovo art.268 ter c.p.p. non appare coordinata con il momento dell’esercizio dell’azione penale e con lo scadere dei termini di fase per le misure cautelari.
Infatti nella relazione illustrativa, e precisamente a p.4 della stessa, si scrive che “le operazioni di selezione ed acquisizione del materiale oggetto di intercettazione sono riservate esclusivamente alla fase delle indagini preliminari ed è espressamente stabilito che l’esercizio dell’azione penale non impedisce la prosecuzione degli adempimenti”, ma di tutto ciò non si trova riscontro nella bozza di decreto delegato, a meno di non voler intendere in tal senso il criptico riferimento dell’art.268 ter comma 10 c.p.p., per cui “Alle operazioni di acquisizione e trascrizione provvede in ogni caso il giudice per le indagini preliminari”. Tale formulazione potrebbe però essere intesa nel senso opposto, e cioè che si permane nella fase procedimentale di spettanza del GIP.
In particolare, nell’articolato, non è precisato che il tempo necessario per lo svolgimento della perizia trascrittiva non può costituire un fattore di intralcio o di ritardo dell’iter processuale. 
Entro la conclusione delle indagini preliminari il PM deve richiedere al Giudice la predetta udienza. Lo prevede il proposto art.268 bis c.p.p. al suo terzo comma. In nessuna parte del testo è però chiarito che i successivi atti di impulso processuali non devono attendere la decisione del Giudice o addirittura il deposito della perizia trascrittiva. Forse nella prassi si affermerà tale ragionevole interpretazione che, tra l’altro, è l’unico modo per evitare che nei procedimenti complessi, con decine di contestazioni e imputati, lo svolgimento dell’udienza di selezione ed acquisizione delle conversazioni comporti – come suo inevitabile corollario - il consumarsi dei termini di fase cautelari e la scadenza delle misure. 
Per fugare ogni dubbio sarebbe però quanto mai opportuno che si statuisse, in modo esplicito, che gli incombenti legati all’udienza ex art.268 ter c.p.p. non possono impedire o ritardare gli atti di impulso processuale e quindi l’esercizio dell’azione penale, lo svolgimento dell’udienza preliminare, il decreto che dispone il giudizio (fondamentale ai fini dell’instaurarsi di nuovi termini di fase per le misure cautelari), gli atti preliminari al dibattimento e così via. 
Per rendere, poi, funzionale la previsione sopra sollecitata sarebbe possibile adottare diversi espedienti procedurali tra loro alternativi.


a) Si potrebbe separare la fase di selezione delle intercettazioni non utilizzabili in quanto vietate dalla legge o pertinenti alla privacy dei soggetti e non rilevanti per le indagini, da quella, già oggi prevista dal codice, di acquisizione delle conversazioni rilevanti ai fini della prova. Il primo momento, certamente di più rapido esperimento, potrebbe essere collocato prima della chiusura delle indagini (salva comunque la possibilità di procedere all'esercizio dell'azione penale), mentre il secondo momento potrebbe essere ritardato fino alla fase dibattimentale come è consentito oggi. Tale soluzione comporterebbe comunque un nuovo ulteriore adempimento (obbligatorio) a carico del GIP.
b) Si potrebbe, in alternativa, prevedere di unificare le due attività in un unico momento procedurale (come sembra voler disporre la bozza in esame) ma tale udienza dovrebbe essere collocata in una fase successiva all'udienza preliminare o all'emissione del decreto che dispone il giudizio immediato. In tal modo il GIP, spogliatosi del rinvio a giudizio (e quindi fatti salvi i termini cautelari di fase) potrebbe trattenere presso di sé il fascicolo e, in pendenza della data di rinvio a giudizio di fronte al giudice, svolgere, in contraddittorio, sia l'attività di stralcio del materiale del quale è vietata l'utilizzazione sia quella di acquisizione ai fini della prova delle intercettazioni rilevanti.


La riproduzione dei contenuti intercettati nei provvedimenti giudiziari.
Gli articoli 291 comma 1, 292 comma 2 lett. c) e 309 comma 9 come novellati nella bozza di decreto delegato fanno divieto di riprodurre integralmente nella richiesta cautelare del PM, nell’ordinanza del GIP ed in quella del Tribunale del Riesame, le conversazioni intercettate, essendo possibile soltanto il richiamo del loro contenuto.
Orbene, in primo luogo deve osservarsi la vaghezza del divieto: che cosa significa riproduzione integrale? Se tale locuzione comporta unicamente che non si possa trascrivere un’intera conversazione ma soltanto le frasi salienti dei locutori, quelle più icastiche, si tratterebbe di una previsione del tutto inutile: già oggi pressoché tutti gli operatori del diritto procedono in tal modo.
Se la locuzione intendesse invece che, nei provvedimenti dell’AG, mai sarebbe possibile riportare per iscritto la viva vox dei locutori ma solo procedere a perifrasi del contenuto dei dialoghi, il divieto sarebbe pericoloso. E ciò tanto per le ragioni dell’accertamento dei fatti quanto per le esigenze di garanzia della difesa (sono le ordinanze del GIP e del Riesame che vengono impugnate).
Invero, per comprendere senso e portata di qualsiasi conversazione, sono fondamentali il contesto comunicativo in cui essa si inserisce, il registro dialogico di locutori, il lessico utilizzato. Già il fatto che il tono utilizzato inevitabilmente si perda nel passaggio dalla traccia audio alla verbalizzazione per iscritto del colloquio è una grave limitazione, ma che a tanto debba aggiungersi il venir meno delle informazioni inerenti il contesto comunicativo in cui la comunicazione si inserisce, il registro dei locutori, il lessico da loro utilizzato, cioè dati che solo la riproduzione delle loro parole può manifestare appieno, comporta una frustrazione gravissima delle esigenze che un sistema penal-processuale deve soddisfare.
Peraltro una utilizzazione non testuale dei contenuti intercettati darebbe luogo ad infinite contestazioni in ordine alla attendibilità delle loro parafrasi o delle relative sintesi, aprendo a inutili ulteriori momenti di valutazione giudiziaria nelle fasi del riesame, dell'appello e del ricorso per cassazione. Ciò porterebbe a rendere ancor più faticose di oggi i giudizi di impugnazione e ad una ancor maggiore imprevedibilità degli esiti e, di conseguenza, ad una pericolosa inaffidabilità della fase cautelare.
Si vuole sottolineare, inoltre, come la previsione contenuta nella bozza di decreto delegato non trovi un sicuro riferimento nella legge delega e, comunque non sia attinente al suo oggetto. Infatti con le modifiche agli artt. 291, 292, 293 e 309 non si fa più riferimento alle intercettazioni inutilizzabili in quanto non rilevanti e lesive della privacy ma ad intercettazioni utilizzabili e rilevanti.
Tale limitazione alla redazione dei provvedimenti, in fine, non garantirebbe circa la diffusione delle intercettazioni utilizzate in fase cautelare, atteso che i relativi testi integrali e non riassunti, se espunti dai provvedimenti, rimarrebbero comunque inseriti nelle informative di PG che verrebbero trasmesse al GIP ed al Riesame e che sono destinate alla più ampia discovery. In buona sostanza le disposizioni in esame sembrano inconferenti rispetto alla delega e prive di capacità di tutela dei contenuti intercettati e rilevanti rispetto ad una loro possibile divulgazione.
L'archivio riservato istituito presso l'ufficio del PM.
Le norme d'interesse relative alla istituzione dell'archivio riservato sono individuabili nelle seguenti:
Art. 268-ter.
Udienza di selezione e di acquisizione delle conversazioni.
4. Il giudice dispone l’acquisizione, su richiesta del pubblico ministero e dei difensori, delle conversazioni e comunicazioni rilevanti, e procede, anche d’ufficio, allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione. Gli atti e i verbali relativi a comunicazioni e conversazioni non acquisite sono immediatamente restituiti al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio riservato di cui all’articolo 269, comma 1.
Art. 269
il comma 1 dell’articolo 269 è sostituito dal seguente: «1. I verbali e le registrazioni sono conservati integralmente in apposito archivio riservato presso l’ufficio del pubblico ministero che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni.»;
Art. 293
all’articolo 293, comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Gli atti contenenti le comunicazioni e conversazioni intercettate, ritenute dal giudice non rilevanti o inutilizzabili, sono restituiti al pubblico ministero, per la loro conservazione nell’archivio riservato.».
Con il decreto delegato in esame viene introdotto per la prima volta il c.d. “archivio riservato” che non trova precedenti nell’attuale disciplina codicistica. Infatti l’art. 269, 1 comma, c.p.p., per quanto attiene la conservazione della documentazione, prevede: “i verbali e le registrazioni sono conservate integralmente presso il pubblico ministero che ha disposto l’intercettazione”
La disciplina che si intende introdurre pone tuttavia un problema tecnico e giuridico che merita di essere rappresentato.
Tutte le conversazioni e comunicazioni, sottoposte ad intercettazione, vengono oggi indirizzate dai Gestori o dall’apparato di captazione (per quanto riguardo le ambientali e i video) su un unico server situato in Procura su cui viene registrato il c.d. “dato originale”.
Quando viene chiusa un’intercettazione, tutte le conversazioni e comunicazioni registrate, insieme ai verbali redatti dalla PG, vengono masterizzate e trasferite su DVD per essere conservati in un archivio della Procura, mentre tutto il contenuto di quella intercettazione, presente sul server, dovrebbe essere cancellato e rimosso.
In verità già oggi la cancellazione dal server presenta profili problematici e non sempre viene eseguita, atteso che sul server risiede, appunto, il “dato originale” e vi sono state pronunce giurisprudenziali in sede di merito che hanno dichiarato l’inutilizzabilità delle intercettazioni per violazione del diritto di difesa in quanto il “dato originale” era stato cancellato dal server della Procura e, quindi, il difensore non poteva più esaminarlo.
Con i vecchi apparati di intercettazione (RT 6000 o precedenti) il “dato intercettato originale”, invece, veniva registrato direttamente sulla cd. bobina che poi veniva conservata in Procura.
I DVD che vengono conservati in maniera riservata, protetti e masterizzati in linea con le indicazioni del Garante della privacy, sono quindi solamente delle copie.
In base alla ricostruzione dell'esistente è quindi necessario chiarire cosa si intenda per “archivio riservato”:
1) il server della Procura su cui risiede il “dato originale” dell’intercettazione
2) i verbali e le registrazioni che devono essere estrapolati dal Server e depositati dal Pubblico Ministero ex art. 268 bis c.p.p. a mente della bozza di DLG con la masterizzazione del DVD e, quindi, questi ultimi costituiscono i dati da conservare nell’archivio riservato con la conseguenza che i dati originali sul Server andrebbero cancellati
3) entrambi i dati quelli sul server e quelli sui DVD
Per risolvere questi interrogativi, potrebbe essere meglio specificato il concetto di “archivio riservato” perché se si dovesse intendere, come sembra dalla lettura delle norme processuali prima menzionate, composto dai “verbali e dalle registrazioni che devono essere estrapolati e depositati dal Pubblico Ministero ex art. 268 bis c.p.p.” allora occorrerà chiarire che la cancellazione dal server della Procura del dato originale non comporta alcuna inutilizzabilità e che i dati contenuti nei DVD, masterizzati con le tecniche di cifratura o utilizzando la tecnica forense (se questa è fattibile) ed in linea con le indicazioni del Garante della privacy, equivalgono al “dato originale” che si trova sul server e hanno piena utilizzabilità in fase processuale senza alcuna violazione del diritto di difesa.
Se non viene ulteriormente dettagliato tale aspetto (eventualmente attraverso norme di attuazione) sarà difficile per gli uffici interessati adottare misure idonee a garantire le finalità della prova e le esigenze della riservatezza.
Considerazioni sull’art.4 della bozza di decreto delegato.
La disciplina relativa alle intercettazioni delle conversazioni tra presenti mediante l'utilizzo del captatore informatico viene introdotta attraverso modifiche apportate all'art. 266, mediante l'introduzione del co. 2 bis, ed all'art. 267, aggiungendo un nuovo periodo alla fine del co. 1.
Con la prima norma si consente l'utilizzazione del captatore quando si procede per i delitti di cui agli artt. 51 co. 3 bis e 3 quater, nonché nei casi di cui al comma 2 dell'art 266 vigente (se nei luoghi di privata dimora vi è fondato motivo di ritenere si stia svolgendo l'attività criminosa).
Con la seconda modifica si impone una specifica indicazione dei luoghi e dei tempi di attivazione del microfono nel provvedimento di autorizzazione.
Dubbi interpretativi possono nascere dal perfettibile coordinamento tra le due nuove norme. In particolare non si intende in modo univoco se gli oneri relativi al decreto autorizzativo si riferiscano solo ai casi previsti dal comma 2 ultima parte dell’art. 266, ovvero dalle intercettazioni in privata dimora per i reati diversi da mafia e terrorismo o anche per questi ultimi. Solo nel primo caso l'onere motivazionale aggiuntivo e la specificazione di tempi e luoghi sarebbe ragionevole. Nel caso di mafia e terrorismo, invece, importerebbe una ulteriore e non giustificata limitazione all'uso dello strumento anche per i reati più gravi.
Altresì non persuade l’impossibilità di ricorrere alle intercettazioni di urgenza per le Procure non distrettuali. Le esigenze di speditezza che prevedono che eccezionalmente il PM possa ricorrere a tale strumento sono del tutto eterogenee rispetto a quelle che presiedono al riparto di competenza tra Procure distrettuali e circondariali. È un assurdo consentire le intercettazioni di urgenza tramite captatore informatico, ad esempio, per il delitto di traffico organizzato di rifiuti e non permetterle per l’omicidio, la violenza sessuale o l’estorsione, cioè per i tipici reati per cui si possono porre ragioni di urgenza investigativa.

Approvato all’unanimità dal Comitato Direttivo Centrale



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