12 marzo 2022
Per una giustizia di qualità
La riforma dell’ordinamento giudiziario elaborata dal Governo, pur presentando alcuni aspetti condivisibili, solleva forti preoccupazioni, per l’introduzione di alcuni istituti che rischiano di incidere profondamente sulla indipendenza ed autonomia della magistratura.
La riforma risulta interamente incentrata al perseguimento degli obiettivi di smaltimento dell’arretrato, imposti dal PNRR che, più che ambiziosi, appaiono concretamente irraggiungibili nei tempi indicati e con le risorse a disposizione; tutta la riforma mira ad aumentare la sola quantità della risposta giudiziaria, senza riservare alcuna attenzione alla qualità.
Eccone alcuni esempi:
- Verticalizzazione degli uffici e riduzione dei semidirettivi: l’emendamento all’art. 1, comma 1, lett. a) incrementa i poteri in capo ai dirigenti, attribuendo loro la facoltà di riorganizzare e direttamente attribuire incarichi e funzioni di coordinamento, a discapito delle attuali prerogative del CSM, con il rischio che il numero dei coordinatori nominato direttamente dal dirigente (e quindi al di fuori di una procedura concorsuale a livello nazionale) sia destinato ad aumentare per effetto della soppressione di posti semi-direttivi;
- Soppressione dei “carichi esigibili”: l’emendamento all’art. 11 modifica l’art. 37 del d.l. n. 98 del 2011, conv., con modifiche, dalla l. n. 111 del 2011, disponendo che il capo dell’ufficio giudiziario determini ogni anno gli obiettivi di rendimento dell’ufficio, con l’indicazione per ciascun magistratoo per ciascuna sezione dei “risultati attesi” anche sulla base dell’accertamento dei dati relativi al quadriennio precedente. Di conseguenza il rischio concreto è che il limite venga fissato da ciascun dirigente, in maniera discrezionale -attesa l’assenza di parametri cogenti predeterminati- ed in modo anche differenziato per ciascun magistrato dell’ufficio. Occorre individuare il carico esigibile, inteso come un limite, oltrepassato il quale il lavoro giudiziario rischia di scadere di qualità, individuato con parametri oggettivi su base nazionale, che siano anche adeguati ad essere applicati alle realtà locali;
- Tendenza iper-produttivistica e risvolti disciplinari: vi è il concreto pericolo che tali modifiche espongano i magistrati, che non riusciranno a raggiungere i “risultati attesi” fissati ad personam dal capo dell’ufficio (e non dall’organo di autogoverno a livello nazionale), non solo ad un giudizio negativo sulle loro capacità organizzative ex art. 11 d.lgs. n. 160/2006 (emendamento all’art. 3, comma 1, lett. b bis), ma anche a conseguenze sul versante disciplinare per l’inottemperanza alle “direttive” ricevute dal dirigente (considerato che l’emendamento all’art. 9 inserisce, tra gli illeciti disciplinari, anche la trasgressione alle “direttive”), aggravate dalla rilevanza del giudicato disciplinare ai fini delle valutazioni di professionalità, anche successive al quadriennio (art. 3, comma 1, lettera c, n. 5);
- Trasferimento per incompatibilità funzionale o ambientale: l’emendamento all’art. 8 modifica l’art. 2 della legge sulle guarentigie della magistratura (r.d.lgs. n. 511 del 1946) con la soppressione delle parole “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa”. Con tale modifica, il trasferimento per incompatibilità funzionale o ambientale non sarà più istituto residuale, consentito in presenza di condotte oggettive e incolpevoli del magistrato, ma rischia di diventare strumento di assai ampia applicazione, atto a consentire l’immediato trasferimento, a dispetto del principio di inamovibilità del magistrato e senza le garanzie proprie del disciplinare, anche di coloro che condurranno, nell’interesse dei cittadini, inchieste scomode o sgradite; l’avvocato, inoltre, se fosse approvato il DDL così come emendato, avrebbe il potere di sollevare dubbi e perplessità sul lavoro del magistrato in valutazione.
- Voto agli avvocati nei Consigli Giudiziari: l’emendamento all’art. 3, comma 1 lett. a) riconosce ai rappresentanti dell’Avvocatura di intervenire attivamente e di votare nelle discussioni relative alle valutazioni di professionalità, incidendo così sulle decisioni finali, senza prevedere - a differenza di quanto accade per il CSM - alcun meccanismo di incompatibilità tra la carica di membro laico del Consiglio giudiziario e l’iscrizione all’albo professionale del distretto territoriale. E’ evidente che tale circostanza può minare la serenità e l’imparzialità di giudizio del giudice che si trovi a decidere nell’ambito di procedimenti patrocinati dal medesimo avvocato che poi, al tempo stesso, dovrà esprimere il voto in ordine al suo avanzamento professionale.
- Separazione delle funzioni: viene limitato ulteriormente (soltanto a due) il passaggio da una funzione all’altra, con un intervento che - ormai privo di valore pratico - mira a colpire quella comune cultura della giurisdizione affermata nel Titolo IV della nostra Costituzione. La disposizione, così come formulata, apre le porte a una riforma dell’assetto costituzionale della Magistratura.
- Valutazioni di professionalità: l’emendamento all’art. 3 lett. b quinquies prevede, per il magistrato in valutazione, l’acquisizione a campione “dell’esito degli affari nelle successive fasi o gradi del procedimento o del giudizio”, anziché – come attualmente previsto – la sola segnalazione della anomalia del dato statistico nel rapporto tra provvedimenti emessi e provvedimenti non confermati nelle successive fasi processuali. Il rischio concreto è che venga trasmesso un pericoloso invito al conformismo giudiziario, quasi dimenticando, in tal modo, che la verità processuale emerge dal confronto dialettico e si coglie all’esito di un percorso faticoso costruito nel contraddittorio delle parti. Risulta, altresì, incomprensibile l’introduzione delle c.d. “pagelle” in seno alle valutazioni di professionalità (e cioè che il giudizio positivo sia articolato nelle ulteriori valutazioni di discreto, buono o ottimo con riferimento alla capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro), considerato che lo scopo della valutazione periodica è quello di verificare la permanenza dei requisiti di idoneità all’esercizio della giurisdizione;
- Disciplina sulle “porte girevoli”: gli emendamenti introducono una disciplina sugli incarichi politici e tecnici fuori ruolo, che non si limita a stabilire stringenti limiti geografici e funzionali per il ricollocamento in ruolo dopo il mandato elettivo, assolutamente condivisibile, ma prevede che il magistrato - anche quello che non abbia ricoperto incarichi politici, ma prettamente tecnici - si trasformi in dirigente amministrativo, ciò sollevando seri dubbi di legittimità costituzionale.
- L’ufficio studi del CSM: L’art. 25, nel testo emendato, prevede che un terzo dell’organico esterno dell’Ufficio Studi sia riservato a professori o ricercatori universitari in materie giuridiche o ad avvocati con almeno dieci anni di esercizio effettivo. A parte le generali perplessità per la peculiare attività dell’Ufficio Studi, che si occupa di temi giuridici concernenti essenzialmente l’assetto ordinamentale della magistratura, non può trascurarsi che la necessaria sospensione dall’albo professionale potrebbe rendere ben poco appetibile questo tipo di incarico per gli avvocati con esperienza maggiormente qualificata.
Il complessivo impianto della riforma rischia di stravolgere il modello costituzionale del magistrato, incidendo profondamente sulla sua autonomia ed indipendenza, sia nei rapporti con gli altri poteri dello Stato, sia nei rapporti interni all’ordine giudiziario, con conseguente ripercussione sulla qualità della giurisdizione.
Vogliamo una giustizia più celere, ma non vogliamo una giustizia sommaria, ispirata soltanto alla logica dei numeri e delle statistiche, com’è quella che emerge dall’impianto della riforma.
C’è il pericolo che attività fondamentali per l’amministrazione della giustizia vengano compresse senza un necessario bilanciamento con i diritti costituzionali che sono chiamate a garantire.
In conclusione, il CDC chiede che la GEC promuova iniziative anche locali per discutere ed informare l’opinione pubblica sul reale impatto che la riforma in itinere rischia di avere sulla qualità complessiva del servizio giustizia e la delega a chiedere un incontro urgente alla Ministra della Giustizia per manifestare l’esigenza di interventi correttivi dell’impianto della riforma.
L’A.N.M., pertanto, vigilerà con attenzione e continuerà a far sentire la sua voce per evitare che siano approvate proposte riformatrici che rispondano esclusivamente ad una logica produttivistica a scapito della qualità della giurisdizione, con pregiudizio dei diritti dei cittadini.