L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

30 aprile 2022

Intervento del Segretario Generale Casciaro all'assemblea Generale straordinaria

In uno scenario internazionale reso cupo da un conflitto armato insensato che rievoca un passato che pensavamo lontano e che aggrava una congiuntura economica già difficile per la lunga emergenza pandemica, sarebbe auspicabile un’unità di intenti, tanto più se si mira a un ampio progetto di riforma del sistema giudiziario destinato a durare nel tempo e a trainare una ripresa economica durevole e significativa.
Pensare di realizzare, in tale contesto, una grande riforma, civile penale, dell’ordinamento giudiziario e del CSM, e di conseguire gli ambiziosi obiettivi del PNRR, con abbattimento considerevole dei tempi dei processi, senza un coinvolgimento diretto, un ascolto reale e una piena condivisione e partecipazione delle categorie interessate (tutte: magistrati, avvocati e personale amministrativo), è, a mio avviso, un grave errore di metodo.
Un grande scrittore francese insignito del premio Nobel per la letteratura suggeriva in tempo di catastrofi “lo sforzo di dominare i propri risentimenti”.
Questa riforma, nata in una difficile congiuntura, appare viziata proprio dal risentimento.
Nell’ultimo Comitato direttivo centrale del 19 aprile si è detto che è una riforma «contro» i magistrati non «per» i cittadini.
Cosa non va della riforma?
L’originaria ratio ispiratrice del ddl Bonafede (AC 2681) era intervenire sulle storture della degenerazione correntizia, ridare smalto alla Magistratura segnata dallo scandalo Palamara, recuperare la fiducia dei cittadini nell’Istituzione.
Occorreva, dunque, sopire l’ansia di carriera che aveva generato quelle degenerazioni. Rendere maggiormente prevedibili le decisioni consiliari sulle nomine dei direttivi e semi-direttivi, ridurre alcuni ambiti di discrezionalità del CSM, talora non agevolmente controllabili e sui quali si era talora innestato l’arbitrio di scelte motivate da logiche di appartenenza, come peraltro reso evidente dai ripetuti annullamenti delle delibere consiliari da parte dei giudici amministrativi.
Occorreva allentare la morsa sul CSM delle correnti che avevano acquisito il monopolio nella designazione dei candidati alle elezioni (ricordiamo tutti quelle del 2018 con 4 candidati pm per 4 seggi).
Si è fatto qualcosa su questo versante? Assolutamente nulla.
Si è fatto ben altro, in compenso. E spiego cosa.
Una riforma permeata da logiche aziendalistiche, che mira all’efficienza e pensa ai tribunali come a catene di montaggio, che forniscono, possibilmente in tempi rapidi, un prodotto, poco importa se sia o meno di qualità.
Una riforma che altera profondamente il modello costituzionale di giudice.
Si potenzia la figura del dirigente dell’ufficio, e, accogliendo alcuni suggerimenti, anche del Cnf, lo si trasforma nel court manager: il dirigente nomina i coordinatori delle sezioni, dirama direttive, mette i voti in pagella ai magistrati, fissa i target di produttività («risultati attesi») e, per i giudici che se ne discostano, le conseguenze sono valutazioni di professionalità negative e possibili sanzioni disciplinari.


L’avvocato, il cui intervento prezioso in tutte le delibere organizzative e tabellari del CG conosciamo, esprimerà ora il voto anche sulla professionalità del singolo magistrato dinanzi al quale discuteva magari la sua causa in udienza poco prima. Nessuna forma di incompatibilità all’esercizio della professione nell’ufficio giudiziario ove il giudice in valutazione quotidianamente opera, con evidente rischio per l’indipendenza di quel giudice e per il mantenimento del suo ruolo di terzietà.


Si istituisce un fascicolo delle performance che raccoglie lo sviluppo processuale delle pratiche, quasi uno screening periodico. La logica di fondo, ben illustrata dal Comitato direttivo centrale del 19 aprile scorso, è che il processo sia una «gara» da vincere, che ogni riforma di sentenza, o il rigetto dell’istanza cautelare del pm, valga come una sconfitta, un punto in meno per il magistrato «sconfessato» che sarà d’ora in poi plausibilmente meno sereno, propenso magari a conformarsi alle decisioni dei giudici dei gradi superiori e maggiormente incline al conformismo giudiziario se non addirittura orientato a ripiegare verso pratiche di giurisprudenza difensiva.


Si disegna una rigida separazione delle funzioni che camuffa, a ben vedere, una separazione delle carriere. L’osmosi benefica tra magistrati giudicanti e requirenti, fonte di arricchimento professionale, sintonica con il principio di unicità della giurisdizione, diviene, nel disegno sbilenco di questa riforma, una patologia da isolare e prontamente rimuovere. Al giovane neo-vincitore di concorso, che inizia come pubblico ministero e immagina il futuro nelle funzioni giudicanti, si dice che la sua scelta di “cambiare” funzioni, se operata, sarà senza ritorno.


Anche sulle «porte girevoli» l’intervento rischia di essere una reazione «fuori misura» ed è forte il timore di insuccesso.


L’Anm da sempre chiede una disciplina molto più restrittiva dell’attuale regime, l’eliminazione di ogni commistione tra compiti di natura politico-amministrativa e funzioni giurisdizionali: per questo non possiamo che nutrire apprensione rispetto a modifiche che, nell’eccesso di irragionevole rigore, potrebbero non reggere a un vaglio di costituzionalità. Terminato il mandato, il magistrato eletto non potrà tornare al «suo» posto di lavoro (Cost. 51) e sarà collocato «fuori ruolo».


Quel «fuori ruolo», ridisegnato dalla riforma in termini marcatamente restrittivi, quale eccezionale temporanea sospensione dell’esercizio delle funzioni giudiziarie in presenza di stringenti presupposti, non sarà evidentemente per il magistrato eletto identificabile con il «suo» originario posto di lavoro, come recita la Costituzione.


Com’e agevole constatare, siamo di fronte a una serie di interventi ispirati a incongrue logiche aziendalistiche, che esasperano il carrierismo, trasformano lentamente il lavoro dei magistrati sospingendoli verso forme di burocratizzazione e di conformismo giudiziario.


Per questo riteniamo che questa sia una riforma sbagliata, insidiosa per l’indipendenza e l’autonomia della Magistratura, e per i diritti dei cittadini, non rispettosa dei principi costituzionali del giudice soggetto solo alla legge (Cost. 101) e della distinzione dei magistrati soltanto per diversità di funzioni (Cost. 107).


Con tali intendimenti il Comitato direttivo centrale si è espresso, e ha demandato «all’Assemblea generale di deliberare ogni efficace forma di protesta, ivi compresa la proclamazione di una giornata di astensione dall’attività giudiziaria», con invito a tutte le giunte sezionali «a organizzare, anche in più giorni, negli uffici giudiziari, eventi serali di informazione e dibattito, con avvocati, giornalisti, esponenti dell’Accademia e della società civile e predisposizione di comunicati da diffondere agli organi di stampa, documenti da leggere in apertura delle udienze e manifesti da affiggere sulle porte delle aule e degli altri locali aperti al pubblico». 


Le preoccupazioni degli organi dell’ANM sono quelle delle migliaia di magistrati che, in queste ore, nelle assemblee di tutta Italia hanno manifestato il loro dissenso e, aggiungo, sono i gravi timori dell’Associazione Europea dei Magistrati (EAJ), parte integrante dell’Associazione internazionale dei Magistrati, che nel meeting di ieri ha approvato all’unanimità il comunicato che segue.


«Associazione Europea dei Giudici Gruppo Regionale dell'Associazione Internazionale dei Giudici


AVVISO


Nella riunione del 29 aprile 2022 l'Associazione europea dei giudici (EAJ) è stata informata del processo parlamentare in corso in Italia in merito alle proposte di modifica delle norme giuridiche dell'Ordinamento Giudiziario.


L'EAJ avverte coloro che promuovono i provvedimenti che le previste modifiche alla legge sull'Ordinamento Giudiziario che introduce, tra l'altro, un nuovo sistema di valutazione dei giudici e un fascicolo personale di performance per ogni giudice possono essere in contrasto con le norme europee e possono indebolire l'indipendenza del singolo giudice.


Va evitata qualsiasi situazione che vedrebbe i giudici sottoposti a pressioni indebite o soggetti a influenze politiche. Allo stesso modo è importante che la posizione indipendente e l'efficienza ben consolidate della pubblica accusa non siano messe in pericolo.


L'EAJ analizzerà quindi con attenzione gli emendamenti proposti e supporterà i colleghi italiani nel difendersi da ogni possibile degrado».


Grazie e buon lavoro!


Salvatore Casciaro


 


 



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