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8 luglio 2023

Sulla riforma penale


Sala giustizia

L’ANM, rinviando al parere espresso dalla propria Quinta Commissione, non può non sottolineare che il DDL n. 39 – Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziario – induce forte preoccupazione sotto diversi aspetti.
Le propugnate novità legislative in materia di abolizione del reato di abuso di ufficio si pongono in contrasto con l’indirizzo politico perseguito a livello internazionale, consistente nel potenziamento degli strumenti di prevenzione e repressione della corruzione, ed espongono l’Italia al rischio di procedure d’infrazione.
La riformulazione del delitto di cui all’art. 346 bis c. p., poi, finirebbe con il rendere leciti comportamenti pericolosi per la formazione delle decisioni della pubblica amministrazione, suscettibili di inquinare il processo decisionale e la comparazione degli interessi attinti dall’esercizio del potere pubblico.
Le innovazioni in materia cautelare, incentrate sul c. d. interrogatorio preventivo, rischiano di determinare evidenti difficoltà di attuazione del controllo del giudice sull’iniziativa cautelare del requirente specie nei procedimenti cumulativi ed avranno un effetto devastante sugli uffici.
La previsione di un organo collegiale deputato all’adozione delle misure custodiali appare di difficile attuazione già nei grandi tribunali e sarà pressoché impossibile da gestire negli uffici medio – piccoli, al netto dell’aumento esponenziale delle ipotesi di incompatibilità che, inevitabilmente, ne conseguiranno e, quindi, dell’allungamento dei tempi del processo, in chiara violazione degli obiettivi del PNRR. Il ricorso alle cosiddette tabelle infra-distrettuali, poi, è strumento che non tiene conto di difficoltà operative fin troppo evidenti non solo quanto alla gestione di ogni fase relativa alla misura cautelare ma anche, se non soprattutto, alla funzionalità dei singoli uffici dei magistrati applicati al collegio, chiamati a spostarsi da una sede all’altra, trascurando le urgenze del proprio ufficio.
L’intervento sulla limitazione del potere di appello del P. M., anche alla luce dell’ampliamento delle ipotesi di giudizio a citazione diretta previsto dalla riforma Cartabia, data l’ampiezza del divieto di impugnazione rischia di entrare in frizione con i principi scolpiti nella sentenza della Corte Costituzionale n. 26 del 2007, che già si pronunciò sulla precedente legge cd. Pecorella, sostanzialmente nel medesimo senso.
L’ANM auspica che, anche all’esito di un opportuno confronto con tutti gli operatori del diritto, le preannunciate modifiche siano oggetto di rimeditazione alla luce delle criticità così sinteticamente esposte.


 



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