L'ANM è l'associazione cui aderisce il 96% circa
dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

11 giugno 2010

Anm: osservazioni Ddl S1082

L'Associazione nazionale magistrati, convinta che il processocivile rappresenti strumento indispensabile oltre che per la tuteladei diritti dei cittadini, anche per lo sviluppo del sistemaeconomico del paese, ribadisce l'indifferibilità dell'adozione diefficaci interventi volti ad assicurare la riduzione del numerodelle controversie pendenti e la ragionevole durata deiprocessi.


L'Associazione nazionale magistrati, convinta che il processo
civile rappresenti strumento indispensabile oltre che per la tutela
dei diritti dei cittadini, anche per lo sviluppo del sistema
economico del paese, ribadisce l'indifferibilità dell'adozione di
efficaci interventi volti ad assicurare la riduzione del numero
delle controversie pendenti e la ragionevole durata dei
processi.



Obiettivi questi che potranno essere ottenuti solo attraverso
misure di carattere processuale adeguate a migliorare la risposta
alla domanda di tutela giurisdizionale da coordinarsi, tuttavia,
con le necessarie riforme relative all'organizzazione, alla
geografia giudiziaria ed all'effettiva operatività del Processo
Civile Telematico.



Il processo civile telematico, allo stato, difficilmente potrà
trovare concreta attuazione sia in considerazione della mancanza
delle necessarie risorse finanziarie sia in virtù del fatto che il
progetto di riforma risulta ormai "datato" e tecnologicamente
inadeguato.



Sul piano metodologico, peraltro, occorre rimarcare la necessità
di procedere a  modifiche legislative che non siano
caratterizzate da contingenze emergenziali, ma appaiano ispirate da
una visione sistematica dei problemi della giustizia.



Solo operando in tal modo sarà anche possibile limitare i costi
del processo ed assicurare all'utente la certezza dell'attuazione
dei diritti vantati



Nell'ambito dell'indicata prospettiva l'Associazione nazionale
magistrati ha già segnalato che l'iniziativa legislativa in esame
costituisce un indubbio primo segnale positivo rispetto
all'esigenza di restituire funzionalità ed efficienza al sistema
giudiziario, sebbene si auspica l'avvio di una ampia fase di
organiche e complessive riforme sulle linee più volte indicate
dalla magistratura associata.



Effettuata tale premessa, l'Associazione, sulla scorta
dell'articolato parere in ordine al D.d.L. S1082 espresso dalla
Commissione di Studio "Diritto e Processo civile" istituita presso
l'Anm, rileva anzitutto l'assoluta carenza di iniziative  in
materia di sfoltimento e razionalizzazione dei riti processuali che
erano state indicate quale assoluta priorità di intervento.



Non si è provveduto, infatti, all'abrogazione del rito
societario, la cui inefficienza è ormai condivisa da tutti gli
operatori del settore.



Dovrebbero essere, altresì, valorizzati gli strumenti
conciliativi idonei a favorire la composizione dei conflitti,
mediante la tempestiva adozione dei decreti legislativi in materia
di mediazione e conciliazione in ambito civile e commerciale.



L'esame, poi, delle singole disposizioni del disegno di legge
induce a ritenere che alcune appaiono condivisibili ed
evidentemente adottate nell'ottica di snellimento delle
controversie, quali in particolare:





Art. 54) Ordinanza sulla ricusazione



Può condividersi, al fine di migliorare gli istituti che devono
attuare il valore costituzionale dell'imparzialità del giudice, la
modifica dell'art. 54 c.p.c. che, rendendo meno rischiosa la
proponibilità del ricorso rivolto ad ottenere la ricusazione del
giudice, ha previsto che, in caso di dichiarazione
d'inammissibilità o di rigetto dell'istanza di ricusazione, il
giudice non debba necessariamente, ma possa condannare la parte che
l'ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore a 250 euro
(prima 10 euro). Al più potrebbe inserirsi una clausola automatica
di indicizzazione all'andamento dell'inflazione programmata, con
delega al governo di provvedere con decreto ogni quinquennio.





Art. 83) Procura alle liti



Pienamente condivisibile è la modifica relativa alla
costituzione del rapporto col difensore apportata, quanto al
rilascio della procura speciale, al terzo comma dell'art. 83
c.p.c..

Opportuna sarebbe la contestuale modifica dell'art. 77 
c.p.c. con l'aggiunta di un  terzo comma del seguente tenore:
"salvo quanto diversamente previsto da specifiche norme di
legge, la rappresentanza processuale può essere conferita anche a
chi non sia investito del potere di rappresentanza
sostanziale
",  in modo da superare la  regola, priva
di giustificazione funzionale, e di origine esclusivamente
giurisprudenziale, secondo cui la rappresentanza processuale di cui
all'art. 77 c.p.c. può essere conferita solo a chi sia investito di
un potere rappresentativo di natura sostanziale in ordine al
rapporto dedotto in giudizio.



L'intervento sulla disciplina della rimessione in
termini



Apprezzabile è l'intervento sulla disciplina della rimessione in
termini, realizzato attraverso l'abrogazione del previgente art.
184 bis c.p.c. e con la contestuale novella dell'art. 153 c.p.c.,
al quale viene aggiunto un comma, la cui nuova collocazione,
peraltro, rende ancora più evidente la circostanza che ci si trovi
di fronte ad un istituto di carattere generale.





Art. 183) Prima comparizione delle parti e trattazione
della causa



Va condivisa la modifica apportata all'art. 183, comma sesto,
del codice di procedura civile.

Pur valutando le riserve espresse dall'avvocatura, deve rilevarsi
che ogni forma di automatismo nel processo non ne consente
l'adeguamento al singolo caso concreto ed impedisce non solo una
trattazione più rapida del procedimento, ma anche una migliore
efficacia dello strumento processuale.

In definitiva, appare rilevante l'intento di rafforzare il
principio della potenziale completezza degli atti introduttivi
attraverso l'eliminazione dell'automatismo nella concessione delle
memorie ex art. 183 comma sesto nonchè di prevedere un meccanismo
di garanzia per la difesa che consenta alle parti di modificare o
precisare le domande ed integrare le istanze istruttorie tutte le
volte che tale eventualità sia giustificata da gravi motivi.

Invero, la sostituzione, ad opera della Camera dei Deputati, del
termine "giusti motivi" con "gravi motivi" risponde all'esigenza di
evitare che la concreta applicazione della norma venga elusa
mediante l'utilizzo, nella prassi,  di formule di stile che
consentano di ripristinare, di fatto, l'odierno meccanismo
automatico.

La gravità dei motivi richiesti per la concessione delle memorie
implica, infatti, inevitabilmente che queste ultime devono
considerarsi eccezionali e consentite nell'esclusiva ipotesi di
richiesta adeguatamente motivata.



Le modifiche previste per il giudizio di
appello



Può valutarsi in modo sostanzialmente positivo, soprattutto alla
luce del principio della ragionevole durata del processo espresso
dall'art. 111, secondo comma, Cost., la modifica, dettata in
generale per tutti i mezzi di impugnazione ordinari, dell'art. 327
c.p.c. che ha ridotto il termine lungo per le impugnazioni
ordinarie da un anno a sei mesi.

Peraltro, la parziale riscrittura del terzo comma dell'art. 345
c.p.c., con la precisazione che "non possono essere prodotti
nuovi documenti
", sancisce opportunamente in maniera
definitiva un principio affermato dalla Sezioni Unite della S.C.
nelle note sent. nn. 8202 ed 8203 del 2005.



 



Ulteriori norme appaiono, invece, non condivisibili, quali:





Art. 257 bis) Testimonianza scritta



Si è già evidenziato nel documento dell'Anm dell'1 ottobre 2008
che la disposizione appare in contrasto con l'art. 111, comma due,
Cost., la quale prevede lo svolgimento del processo innanzi ad un
giudice terzo ed imparziale.



Invero, nel nostro sistema processuale i poteri discrezionali
del giudice coesistono con quelli delle parti di rivolgere istanze
o di essere genericamente sentiti, ma anche di concorrere alla
formazione della prova, in attuazione della suindicata norma
costituzionale e dell'art. 24 della stessa Carta Fondamentale, cui
si ricollega il diritto di poter fornire la dimostrazione delle
proprie deduzioni.



Inoltre, la norma ha una portata deflattiva solo apparente e, al
più, limitata ad alcuni casi marginali, e, cioè, alle ipotesi
incompatibili con la frequente esigenza di consentire chiarimenti e
precisazioni in ordine ai capitoli di prova nel corso
dell'assunzione.



Occorre, poi, evidenziare con fermezza che la disciplina
prevista per l'assunzione risulta assai complessa e tale da creare
pericoli di completa inattendibilità e mancanza di veridicità o,
quanto meno, di scarsa intelligibilità delle risposte.



In definitiva, il sistema del "modello di testimonianza",
sebbene posto a garanzia di uniformità e autenticità, appare
farraginoso e poco chiaro e tale, quindi, da non assicurare una
maggiore celerità del processo, soprattutto laddove foriero di
eccezioni e controeccezioni ad opera delle parti e nella misura in
cui, in assenza del consenso delle stesse, si sottrae la formazione
della prova al contraddittorio.





Art. 360 bis) Ammissibilità del ricorso in
Cassazione



L'introduzione di un "filtro" di ammissibilità per i ricorsi
risponde indubbiamente all'esigenza, ampiamente condivisa, di
ridurre il gravoso carico di lavoro della Suprema Corte, attraverso
un rigoroso meccanismo di selezione dei ricorsi al fine di
valorizzare la funzione nomofilattica della Cassazione.



In tale ottica si ravvisa corretta l'opzione di prevedere che ai
ricorsi aventi ad oggetto censure manifestamente fondate o
infondate sia riservata una decisione caratterizzata dalla
sommarietà delle forme e di stabilire per legge che la manifesta
fondatezza o infondatezza della censura proposta sia valutata con
riferimenti ai precedenti della Corte nonché la volontà di ridurre
la richiesta di sindacato del giudice di legittimità
sull'accertamento del fatto e sulla sua motivazione.

Tuttavia, nella nuova normativa il filtro appare concepito quale
limite all'accesso al processo di legittimità a fattispecie che
dovrebbero essere, invece, inquadrate nella categoria della
manifesta fondatezza o infondatezza.



Peraltro, dalla formulazione della disposizione sembrerebbe
essere prefigurato un carattere vincolante dei precedenti della
S.C. rimesso alla valutazione della medesima e le ulteriori ipotesi
di ammissibilità appaiono eccessivamente generiche ed
indeterminate, tale da sembrare una inutile duplicazione
dell'attuale procedimento previsto dagli artt. 375 e 380 bis
c.p.c.





Art. 616) L'intervento sul processo di
esecuzione



Va evidenziato che l'abrogazione dell'ultimo periodo dell'art.
616 c.p.c., ove è previsto che le opposizioni all'esecuzione
vengano decise con sentenza non impugnabile, induce la riemersione
della distinzione tra opposizioni alle esecuzione ed opposizioni
agli atti esecutivi, per le quali ultime permane invece
l'esclusione dell'impugnabilità ai sensi dell'art. 618 c.p.c., con
il conseguente aumento del contenzioso insito nella difficoltà di
individuare, nei casi concreti, i confini tra le due forme di
opposizione.



Né può sfuggire come, in contrasto con le esigenze di
semplificazione ed efficienza del processo esecutivo, l'abolizione
degli ultimi due commi dell'art. 624 c.p.c., porterebbe a
vanificare anche la prospettiva, perseguita con le modifiche della
disciplina processuale introdotte solo qualche anno fa, di
consentire l'estinzione del pignoramento e la liberazione dal
vincolo dei beni assoggettati ad esecuzione, evitando che la
situazione restasse cristallizzata in pendenza dell'intero giudizio
di opposizione, tutte le volte che il provvedimento di sospensione
disposto dal giudice dell'esecuzione non fosse stato reclamato
ovvero  avesse ricevuto conferma in sede di reclamo.





Altre disposizioni suscitano perplessità e richiederebbero
correzioni e miglioramenti.



Al riguardo vanno evidenziate le seguenti:





Art. 7) Competenza del giudice di
pace



L'aumento della competenza, seppur in termini  inferiori
rispetto all'originaria proposta governativa che assegnava a tali
giudici le cause relative a beni mobili di valore non superiore a €
7.500,00, quando non attribuite per legge alla competenza di altro
giudice, e quelle di risarcimento del danno prodotte dalla
circolazione dei veicoli e di natanti fino ad € 25.000,00, è stata
effettuata in assenza della previsione di incidenza della riforma,
in termini di efficacia e funzionalità, sui vari uffici, nonchè di
interventi volti a garantire una adeguata professionalità ed il
potenziamento della relativa valutazione e dei criteri di
organizzazione degli uffici medesimi.





Art. 38, 39, 40, 42 e ss.) Incompetenza, litispendenza
e continenza di cause, connessione e disciplina del regolamento di
competenza



Appare condivisibile l'equiparazione del rilievo dell'eccezione
di incompetenza, con la previsione che la stessa, sia che afferisca
alla materia, al valore che al territorio, debba essere sempre
proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e
risposta, tempestivamente depositata, in quanto palesemente
ispirata all'esigenza di accelerare le relative decisioni.



Tuttavia, la legge contiene un'incongruenza nel momento in cui
stabilisce che il convenuto che rilevi l'incompetenza per
territorio abbia sempre l'onere, se non vuole che l'eccezione si
abbia per non proposta, d'indicare quale sia il giudice da lui
ritenuto competente, senza distinguere a seconda che si tratti di
competenza per territorio derogabile o di competenza per territorio
inderogabile.



Invero, l'indicazione, da parte del convenuto, del giudice
ritenuto munito di competenza è imposta solo al fine di favorire la
formazione di un accordo endoprocessuale sulla competenza, come
previsto dall'ultima parte della disposizione, che non è, invece,
ipotizzabile nei casi previsti dall'art. 28 c.p.c.



E' auspicabile, peraltro, nell'ottica di velocizzazione della
procedura, che nel corso dell'ulteriore discussione del disegno di
legge in esame, venga ridimensionato anche il rilievo ufficioso
della incompetenza, nelle ipotesi, materia, valore e territorio
inderogabile, in cui ciò è tuttora possibile, di cui al terzo comma
del ridisegnato art. 38 c.p.c., mantenendolo soltanto per quella
per materia, ed al più per territorio inderogabile.



Espressione del medesimo intento in precedenza evidenziato sono,
poi, le condivise previsioni in base alle quali da un lato, tutte
le decisioni in materia di competenza, litispendenza, continenza e
connessione, siano adottate con ordinanza, anziché con sentenza, e
quindi motivate in forma più sintetica, dall'altro, che la
riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente,
in assenza di apposito termine all'uopo fissato dal giudice nella
suddetta ordinanza, avvenga nel termine di tre mesi dalla
comunicazione di detto provvedimento.



Restano, in argomento, due situazioni dubbie
che meriterebbero di essere risolte.



La prima riguarda il trattamento della
questione di competenza innanzi al Giudice di pace.



La sopravvivenza dell'art. 46 c.p.c., da molti messa in
precedenza in discussione, ma confermata dalla giurisprudenza,
sembra ancora oggi avvalorata dal fatto che nessuna disposizione
abrogativa lo sopprime, per cui sarebbe opportuna una specifica
precisazione normativa volta a chiarire se continuare a ritenere, o
meno, che il giudice di pace debba pronunciarsi sulla questione di
competenza in ogni caso con sentenza impugnabile secondo gli
ordinari mezzi d'impugnazione.



La seconda concerne i rapporti tra giudice
statale e giudice privato.



Invero, la legge in commento non richiama in questo ambito anche
l'art. 819-ter c.p.c., che disciplina l'eccezione d'incompetenza
del giudice statale in ragione dell'esistenza di una convenzione di
arbitrato, per cui andrebbe normativamente precisato se su detta
eccezione il giudice statale dovrà continuare a decidere con
sentenza o con ordinanza.



Del tutto immotivata, infine, appare l'eliminazione delle norme
che avevano abrogato il regolamento di competenza, effettuata 
dalla Camera dei Deputati all'originaria proposta governativa che
aveva previsto l'abolizione del regolamento di competenza
sostituendolo con il più snello meccanismo del reclamo disciplinato
dal formulato nuovo testo dell'art. 44 c.p.c.

Risulta, allora, più che opportuna la reintroduzione della
descritta originaria previsione governativa sul punto, in quanto
idonea non soltanto a velocizzare i processi ma anche ad
alleggerire il carico della Corte di Cassazione.





Artt. 91, 92 e 96) Gli interventi sulla disciplina
delle spese processuali



L' articolo 91, primo comma, c.p.c. prevede, quale novità, la
condanna al pagamento delle spese del processo della parte che ha
rifiutato senza giustificato motivo la proposta conciliativa
tempestivamente formulata nell'ipotesi in cui la domanda venga
accolta in misura non superiore alla proposta medesima, facendo
salvo quanto disposto dal secondo comma dell'art. 92.



L'operato rinvio al secondo comma dell'art. 92 c.p.c. è
conseguente alla nuova formulazione della norma che stabilisce la
compensazione parziale o per intero delle spese processuali, oltre
che nel caso di soccombenza reciproca, anche nell'ipotesi in cui
"concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente
indicate nella motivazione".



La finalità della norma di indurre le parti a concludere una
conciliazione, con la minaccia di dover pagare le spese per colui
che, dopo aver rifiutato una proposta conciliativa, vinca la causa
nei termini della stessa proposta conciliativa, salvo che quel
rifiuto non fosse sorretto da un giustificato motivo appare del
tutto condivisibile.



Tuttavia il nuovo articolo 91, primo comma, è eccessivamente
generico nella parte in cui utilizza l'avverbio
tempestivamente.



Pertanto, al fine di evitare che la norma, dettata da evidenti
finalità deflattive, si trasformi, invece, in uno strumento che
aumenti i contrasti tra le parti, è opportuno che si individui il
momento fino al quale una siffatta proposta possa essere
considerata tempestiva, sia pure ai soli fini della condanna alle
spese della parte che la rifiuti senza giustificato motivo in
ipotesi di una sua successiva soccombenza entro i termini di detta
proposta, salva, cioè, rimanendo, in ogni caso, la possibilità di
addivenire anche successivamente a tale momento ad una
conciliazione, ma con regolamentazione delle spese rimesse questa
volta alla valutazione del giudice.

Il limite potrebbe essere individuato nell'udienza ex art. 183
cod. proc. civile.



Occorrerebbe, poi, un'ulteriore riformulazione della norma con
la precisazione che l'accollo delle spese a carico della parte che
abbia rifiutato una proposta conciliativa, qualora la domanda venga
accolta in misura non superiore a tale proposta, non possa che
riguardare le sole spese maturate dopo la formulazione della
proposta medesima.



Con riferimento, invece, alla nuova dicitura dell'art. 92 c.p.c.
secondo cui il giudice può compensare parzialmente o per intero le
spese, oltre che nel caso di soccombenza reciproca, quando
"concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente
indicate nella motivazione
", non può non rilevarsi che il
riportato nuovo dato testuale rischia di compromettere, in
concreto, le possibilità di una pronuncia di compensazione delle
spese processuali anche in peculiari ipotesi in cui il soccombente
non necessariamente abbia proposto una domanda, oppure abbia
resistito in giudizio, in modo prima facie ingiustificato:
si ritiene, quindi, preferibile che venga ripristinato il testo
attualmente vigente della norma in esame nella parte in cui,
consentendo la compensazione delle spese processuali anche in
presenza di "altri giusti motivi esplicitamente indicati nella
motivazione
", permetterebbe al Giudice un esercizio di un
siffatto potere più agevolmente rapportabile alle singole
fattispecie.



Infine, sull'ulteriore comma aggiunto all'art. 96 c.p.c. si
condivide, espressamente invocandosene il mantenimento, la
possibilità di una siffatta condanna anche d'ufficio, senza
l'istanza di parte.





Art. 101) Principio del
contraddittorio



L'aggiunta di un comma all'art. 101, nel testo licenziato dalla
Camera dei Deputati, del seguente tenore "Se si ritiene di
porre a fondamento della decisione una questione rilevata
d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti,
a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti giorni e non
superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in
cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima
questione
", tende evidentemente ad incrementare il principio
del contraddittorio che impone la parità di posizione, non solo tra
le parti, ma anche tra le parti ed il giudice, in particolare
laddove sancisce che quest'ultimo non può porre a fondamento della
sua decisione una questione rilevata d'ufficio se prima non ha dato
alle parti la possibilità d'interloquire su di essa.



Allo stesso fine sono già dettati il quarto comma dell'art. 183
c.p.c., ai sensi del quale alla prima udienza il giudice deve
indicare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio delle quali
ritiene opportuna la trattazione, ed il terzo comma dell'art. 384
c.p.c., che enuncia lo stesso principio nell'ambito del giudizio di
cassazione.



Ne consegue che dovrebbe essere chiaramente specificato che il
nuovo comma aggiunto all'art. 101 c.p.c. vada riferito soltanto
all'ipotesi in cui la questione sia rilevata d'ufficio in fase di
decisione, in quanto solo in tale momento il giudice deve concedere
un termine per memorie sospendendo la decisione sulla
questione.





Art. 115) Disponibilità delle prove



Nel ddl S1082, al secondo comma dell'art. 115 c.p.c., è previsto
che il giudice possa porre a fondamento della decisione i
fatti ammessi o non contestati. Si tratta di
innovazione che recepisce l'orientamento della giurisprudenza di
legittimità, mentre ben più incisiva era la modifica proposta dal
Governo, che consentiva di porre a fondamento della decisione anche
i fatti contestati in modo generico.



Appare, pertanto, opportuno reintrodurre la precedente
previsione, in quanto consentirebbe di non dare rilievo alle
formule di stile solitamente inserite dai difensori in chiusura
degli atti e che hanno come unico effetto di ingigantire
l'istruttoria senza alcuna reale utilità.



La necessità di contestazione specifica, invece, costringe il
difensore a prendere posizione su ogni fatto e rende più facile il
controllo sul leale comportamento delle parti nel corso del
processo.



In tale ottica andrebbe anche reintrodotto il terzo comma
dell'art. 88, stralciato alla Camera ("Le parti costituite
debbono chiarire le circostanze di fatto in modo leale e
veritiero
").



Occorrerebbe, altresì, regolare la non contestazione anche nel
processo contumaciale, magari mediante l'espressa previsione, in
siffatta ipotesi, dell'obbligo del giudice di disporre
l'interrogatorio formale del contumace e della equivalenza
automatica ad ammissione dei fatti in caso di mancato rendimento da
parte di quest'ultimo del menzionato mezzo istruttorio (l'ordinanza
andrebbe notificata ex art. 292 c.p.c., con facoltà del giudice di
ordinarne la rinnovazione anche qualora appaia probabile che il
contumace non ne abbia avuto conoscenza (es. notifica in corso di
periodo feriale).

L'eventuale appello andrebbe infine limitato ai soli casi di
errores in procedendo.





Artt. 120 e 132) Pubblicità e contenuto della
sentenza



Accanto ad una modifica inerente alla pubblicità della sentenza,
ve ne sono altre miranti a semplificarne la stesura.



Per quanto riguarda la pubblicità della sentenza, appare
ampiamente condivisibile il nuovo primo comma dell'art. 120 c.p.c.,
mentre appaiono poco soddisfacenti gli interventi miranti alla
semplificazione della motivazione della sentenza.



Invero, l'eliminazione dello svolgimento processuale non è
sufficiente a realizzare un concreto e consistente alleggerimento
della decisione.



Inoltre, la motivazione succinta, con riferimento a precedenti
conformi di una giurisdizione superiore, che era prevista
inizialmente nel primo comma dell'art. 118, è stata poi spostata al
quarto comma e limitata alle sole domande manifestamente fondate o
infondate.



L'appello a decisioni più snelle è ormai generalizzato, ma
dovrebbe essere affermato con chiarezza anche dal legislatore. A
tal fine potrebbe essere utile riformulare l'art. 132 n. 4 c.p.c.
analogamente a quanto previsto, nell'ambito del cd. rito
societario
, dall'art. 16, comma quinto, del d.lgs. n. 5/2003,
laddove si afferma che la sentenza può essere sempre motivata
in forma abbreviata, mediante il rinvio agli elementi di fatto
riportati in uno o più atti di causa e la concisa esposizione delle
ragioni di diritto, anche in riferimento a precedenti
conformi
, riformulandosi, per conseguenza, anche il testo
dell'art. 118 delle disposizioni di attuazione.





Artt. 191 e 195) Nomina del consulente tecnico,
processo verbale e relazione



L'art. 191 introduce una norma senza dubbio condivisibile, che
riproduce una prassi abbastanza consolidata presso i tribunali.



In reazione all'art. 195 si ravvisa, invece, necessario
anticipare il momento del contraddittorio dei ctp, che deve
naturalmente collocarsi all'interno delle operazioni peritali, per
quanto concerne gli aspetti tecnici. Allora, sembra maggiormente
rispondente ad un'ottica semplificatoria ed acceleratoria,
prevedere che le osservazioni alla ctu debbano essere fatte
necessariamente prima del deposito definitivo della relazione. Il
ctu, cioè, al termine delle operazioni in contraddittorio con i ctp
dovrà predisporre una relazione provvisoria da inviare
(possibilmente per posta elettronica) ai ctp, concedendo termine
(7-15 gg.) per il deposito di memorie di osservazioni. Scaduto il
termine, il CTU redigerà la relazione finale e definitiva, in cui
risponderà anche alle osservazioni delle parti.





Art. 702 bis e ss.) Il nuovo procedimento sommario di
cognizione



Nella scheda di proposta sul processo civile consegnata al
Ministro, l'Anm ha auspicato l'introduzione di un rito sommario non
cautelare di cognizione in un quadro di semplificazione e riduzioni
dei riti.



Per come in concreto strutturato il nuovo procedimento, può
agevolmente affermarsi che si tratti una domanda rivolta ad
ottenere la tutela piena del diritto in via sommaria che consente
pervenire all'accertamento del diritto con efficacia di cosa
giudicata ai sensi dell'art. 2909 cod. civile, che consentirà di
snellire la trattazione dei procedimenti meno complessi e la
relativa motivazione.



Inoltre, l'ambito applicativo concerne le cause nelle quali il
Tribunale giudica in composizione monocratica, laddove l'originaria
previsione governativa, di cui viene in questa sede chiesto il
ripristino, lo limitava alle domande di condanna al pagamento
di somme di danaro, anche se non liquide, ovvero alla consegna o
rilascio di cose
.



Nel merito si ravvisa una sostanziale disparità di trattamento
per il convenuto che soggiace alle scelte ed alle determinazioni
altrui, e che in concreto potrebbe non avere la possibilità di
pretendere un processo a cognizione piena, atteso che è rimesso al
giudice decidere, a seguito dell'impulso del ricorrente, se
proseguire nella cognizione sommaria o disporre la trasformazione
del processo come instaurato in ordinario.



Inoltre, in caso di conversione del rito, il convenuto ha a
disposizione il termine di trenta giorni per approntare le sue
difese, ben più breve rispetto a quello di novanta giorni previsto
dall'art. 163 bis c.p.c., per cui al riguardo si imporrebbe una
espressa precisazione.



Peraltro, per come strutturato, anche in relazione alle modalità
di introduzione, non appare realmente differente dal rito
ordinario, anche quale risultante dalle modifiche introdotte dal
disegno di legge, che rendono eccezionale la concessione dei
termini di cui all'art. 183 c.p.c. e considerata la possibilità di
fare ricorso all'art. 281 sexies c.p.c.



Addirittura il convenuto può complicarlo oggettivamente,
proponendo domanda riconvenzionale, e/o soggettivamente chiamando
in garanzia un terzo, a tal fine provocando lo spostamento
dell'udienza, analogamente a quanto previsto dall'art. 269 c.p.c.
per il processo ordinario.

Non appare, poi, chiaro se il giudice possa rilevare d'ufficio
ogni profilo d'incompetenza, anche quello per territorio semplice,
che ai sensi dell'art. 38 c.p.c., non è rilevabile d'ufficio nel
processo ordinario, per cui appare opportuna una ulteriore
precisazione in merito.



Inoltre, atteso che, se non viene pronunciata la detta ordinanza
d'incompetenza, è possibile che il giudice trasformi il
procedimento sommario in processo ordinario fissando l'udienza di
cui all'art. 183 c.p.c., resta il dubbio che, ai sensi dell'art. 38
c.p.c., il giudice possa in questa udienza rilevare ancora profili
d'incompetenza per materia, valore o territorio inderogabile che
prima non aveva rilevato. Insomma, se nel prosieguo il procedimento
resta sommario, sembra che i profili d'incompetenza debbano essere
rilevati subito dal giudice, al massimo nell'udienza di
comparizione delle parti. Se, invece, il processo si trasforma,
allora potrebbe essere possibile che il giudice, nell'udienza di
cui all'art. 183 c.p.c., rilevi quei profili d'incompetenza che ai
sensi del citato art. 38 egli può rilevare.



Si ravvisa necessaria un chiarimento dell'art. 702-quater,
ove non viene effettuata alcuna precisazione per
l'ipotesi in
cui non vi sia la notificazione o comunicazione, ossia se debba qui
valere il termine lungo per l'appello delle sentenze ovvero se il
provvedimento non passi mai in giudicato.



Per quanto concerne le modalità di impugnazione del
provvedimento conclusivo, la previsione dello strumento del reclamo
in luogo dell'appello potrebbe servire a rendere l'istituto più
coerente con lo scopo di farne una modalità alternativa, più
duttile e flessibile,  del rito ordinario di cognizione.



Infine, va osservato in relazione alla dettata disciplina
dell'istruzione probatoria, secondo la quale sono ammessi nuovi
mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene
rilevanti ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di
non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario
per causa ad essa non imputabile, che l'utilizzo del termine
"rilevanti", invece di quello "indispensabili" non appare congruo
in quanto, se l'intenzione era quella di introdurre una norma
analoga a quella di cui all'art. 345, terzo comma, c.p.c., appare
improprio l'uso del termine, per cui dovrebbe operarsi la relativa
correzione, ed analoghe conclusioni deve pervenirsi se si intendeva
consentire maggiori garanzie difensive,
in quanto, non possono
ammettersi mezzi di prova se non siano rilevanti, ossia se non
riguardino fatti che rilevano al fine di decidere sulla domanda
proposta.




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