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16 giugno 2010

L'Anm sulle sedi disagiate

L'Anm rivendica una normativa che riconosca pienamentee con la necessaria chiarezza, diritti e legittime aspettative dicoloro che hanno svolto funzioni nelle sedi disagiate fino alladata dell'entrata in vigore della legge n° 168/2005.


1. La
distribuzione territoriale dei magistrati  ed, in
particolare, la loro prima destinazione dopo l'ingresso in carriera
ha sempre dovuto fare i conti - in un sistema
ordinamentale come il nostro caratterizzato, fin dall'epoca della
formazione dello Stato unitario, da una selezione concorsuale su
base unica nazionale - con una fisiologica  disomogeneità
fra  luoghi di provenienza  e luoghi di possibile
destinazione.



Al riguardo, fino a qualche anno
addietro era ben noto - ed oggi conviene rammentarlo - che fino
agli inizi degli anni ottanta i magistrati di prima nomina venivano
normalmente destinati in sedi del settentrione d'Italia (dove a
centinaia si sono ivi definitivamente stabiliti), attese le diverse
percentuali nella provenienza territoriale dei vincitori di
concorso (un tempo in prevalenza appannaggio dei neolaureati
meridionali) ed atteso il limitatissimo numero di posti disponibili
nelle regioni del Centro e del Sud  (basti ricordare che
soltanto 4 su 36 uditori del d.m. 12 novembre 1981 provenienti dai
distretti siciliani ottennero una sede in Sicilia).



La situazione è radicalmente
cambiata a partire dal 1985 (in conseguenza dei miglioramenti
retributivi riconosciuti alla categoria in quegli anni, tali da
rendere l'accesso in magistratura una valida alternativa al settore
privato e del contestuale sviluppo di quello della grande
criminalità organizzata al Sud), tant'è che soltanto nell'ultimo
ventennio (e la tendenza in atto è destinata a durare) almeno un
migliaio di magistrati di prima nomina provenienti dal Nord e dal
Centro d'Italia sono stati destinasti ad uffici giudiziari dei
quattro distretti siciliani;  la gran parte di essi hanno ivi
operato per alcuni anni soltanto (con pronto ricambio di magistrati
più giovani), mentre una significativa minoranza si è fermata per
un più lungo periodo; in non pochi casi realizzandosi una vera e
propria stabilizzazione.



Non è questa la sede per un esame
delle cause strutturali di questa disarmonia fra  le
potenzialità (culturali, occupazionali, universitarie e
post-universitarie) di alcune aree del paese nella produzione di
nuovi magistrati e le concrete necessità degli uffici sparsi nel
territorio, cause che determinano uno squilibrio profondo nel
livello di attrattiva delle diverse sedi giudiziarie e che
investono responsabilità esterne al circuito del c.d.
servizio giustizia; essendo sufficiente  rimarcare
come sia dovere del Parlamento, del Ministro della Giustizia e del
Consiglio Superiore della Magistratura, ciascuno nell'ambito delle
rispettive competenze, cercare di ridurre questo
squilibrio strutturale adottando adeguate iniziative, nel
prioritario interesse non già dei singoli magistrati quanto
piuttosto dell'effettività e della continuità della giurisdizione
in tutti i distretti giudiziari.



2. Era ben noto
altresì - ed anche questo conviene rammentarlo - come agli inizi
degli anni novanta, in presenza di gravissimi fenomeni di
criminalità organizzata e comune che in alcuni distretti giudiziari
aveva raggiunto limiti allarmanti, fosse altrettanto drammatica la
difficoltà delle Istituzioni competenti - del Consiglio Superiore
della Magistratura  innanzi tutto -  di garantire la
copertura, quanto meno in termini percentuali sufficienti, degli
uffici giudiziari più esposti.



In quegli anni, il Consiglio
Superiore della Magistratura e la magistratura nel suo complesso
furono esposti a severe e non del tutto infondate critiche per
l'incapacità di rispondere alle esigenze di giustizia di quelle
realtà che più ne avevano bisogno. Per altro verso, nei rari casi
in cui venne dato corso a procedure di trasferimenti d'ufficio,
tutti i diretti interessati chiesero ed ottennero la sospensione
del provvedimento dal giudice amministrativo, per cui i Tribunali e
le Procura dei distretti di Palermo, Caltanissetta, Messina,
Catania, Reggio Calabria e Catanzaro poterono contarono sulla sola
periodica provvista di uditori, che maturate sul campo le prime
esperienze abbandonavano velocemente la sede di prima
destinazione.



In un tale contesto venne approvata
la legge 4 maggio 1998 n. 133 che, innegabilmente, ha contribuito
negli anni successivi ad un miglior funzionamento degli uffici in
sede disagiata.



3. Ed,
invero,  a seguito dell'entrata in vigore della normativa in
questione, il periodo di permanenza media dei magistrati destinati
ad una sede disagiata è cresciuto in misura che può quantificarsi -
pur in mancanza di statistiche specifiche - in almeno il triplo: al
riguardo, si è avuto modo di riscontrare come una significativa
aliquota (il venti per cento circa) degli interessati, pur avendo
maturato il periodo di permanenza quinquennale, non ha fatto uso
del diritto di precedenza assoluta, in ragione del fatto che la
non brevissima permanenza nella sede di prima destinazione
è venuta progressivamente a far maturare condizioni (personali,
familiari e professionali) di ulteriore permanenza.



A ciò aggiungasi che la 
permanenza nella sede, oltre il primo biennio, viene a costituire
di per sé un valore aggiunto in termini di produttività e di
qualità del servizio reso.

I risultati conseguiti dalla legge 133 sono stati, dunque, sotto
diversi profili estremamente positivi; ed hanno costituito un
fattore di correzione, certamente non risolutivo ma significativo
di quella disomogeneità strutturale cui si è fatto cenno.



4. La legge 4
maggio 1998 n. 133, con cui sono stati introdotti benefici
economici e di carriera in favore di magistrati destinati ad uffici
in sede disagiata, ha così riscosso per anni unanime apprezzamento
e, quel che più conta, ha consentito a decine di uffici della
periferia di operare in condizioni sicuramente migliori rispetto al
passato, nell'interesse di milioni di cittadini.



Unanimi apprezzamenti per anni e,
precisamente fino alla primavera del 2003, quando - trascorso un
quinquennio dall'entrata in vigore della legge - il Consiglio
Superiore della Magistratura ha dovuto riconoscere, ai primi
beneficiari,  il più rilevante dei benefici previsti dalla
legge e, cioè, la prescelta assoluta nei trasferimenti,
suscettibile di incidere su posizioni ed aspirazioni di altri
magistrati.



E' così emerso un contrasto di
interessi che ha iniziato a manifestarsi in occasione dell'adozione
da parte del Csm di alcune delibere in occasione  del
riconoscimento del beneficio in questione, ovvero relativamente
alla conferma dell'estensione (già affermata nella circolare del
giugno del 1999) del beneficio ai c.d. equiparati (e,
cioè, di quei magistrati in servizio in sede disagiata, da epoca
anteriore al riconoscimento della sede come disagiata).



Il Consiglio Superiore della
Magistratura del quadriennio 2002-2006 è, tuttavia, riuscito a
mantenere gli impegni assunti, pur nella progressiva presa d'atto
del crescente malessere della più vasta platea dei magistrati
controinteressati.

Con l'art. 14-sexiesdecies d.l. 30 giugno 2005, n. 115, introdotto
con la legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168, il beneficio in
questione è stato svuotato di contenuto.

Di questa legge il Consiglio Superiore della Magistratura - con
delibera unanime del 29 settembre 2005 - ha offerto
un'interpretazione costituzionalmente orientata.



5. Sono noti gli
ulteriori sviluppi della vicenda:

l'annullamento della delibera del Consiglio Superiore della
Magistratura da parte del T.A.R. del Lazio; il dibattito
all'interno del nuovo Consiglio; e, da ultimo, la proposta -
contenuta nel d.d.l. Mastella sull'ordinamento giudiziario - di
cancellare per il futuro il più significativo dei benefici previsti
dalla legge 133/98, tentando di introdurre una disciplina
transitoria per più versi criticabile e criticata (articolo 6,
punti 28 e 29).



6. A questo punto,
l'Anm rivendica una normativa che riconosca pienamente e
con la necessaria chiarezza, diritti e legittime aspettative di
coloro che hanno svolto funzioni nelle sedi disagiate fino alla
data dell'entrata in vigore della legge n° 168/2005.



Tale impegno appare giustificato da
più ragioni: il legittimo affidamento nutrito dai magistrati che si
sono recati nelle sedi disagiate; il fondamentale apporto che essi
hanno recato, e tuttora recano, all'esercizio della giurisdizione
in sedi e contesti difficile; il sacrificio personale scelto ed
affrontato per anni dai colleghi delle sedi disagiate



 



 




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