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dei magistrati italiani. Tutela i valori costituzionali, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.

22 luglio 2011

Sezione della Cassazione 29 ottobre 2009

La sezione della Corte diCassazione dell'Associazione Nazionale Magistrati, riunita il 29ottobre 2009 in assemblea straordinaria nell'aula magna della Cortein relazione allo stato di agitazione proclamato il 17 ottobrescorso dal Comitato direttivo Centrale dell'ANM con l'allegatadeliberazione, ha approvato all'unanimità  il seguentedocumento.


Documento approvato 
all'unanimità dalla assemblea  svoltasi il 29 ottobre
2009




La sezione della Corte di Cassazione dell'Associazione Nazionale
Magistrati, riunita il 29 ottobre 2009 in assemblea straordinaria
nell'aula magna della Corte in relazione allo stato di agitazione
proclamato il 17 ottobre scorso dal Comitato direttivo Centrale
dell'ANM con l'allegata deliberazione, ha approvato
all'unanimità  il seguente documento.



1.- Come affermato dalla Corte costituzionale con la recentissima
sentenza 17.10.2009, n. 262 (sulla legge Alfano) la complessiva
architettura istituzionale è ispirata ai princípi della divisione
dei poteri e del loro equilibrio.

Alla magistratura è affidato il compito di applicare nei casi
concreti la legge uguale per tutti. La Costituzione l'ha voluta
autonoma ed indipendente da ogni altro potere proprio per evitare,
a garanzia dei cittadini, che il potere politico possa indurla a
decisioni condizionate e che, dunque, l'uguaglianza resti solo
astrattamente proclamata. Lo ha fatto affidando al CSM, presieduto
dal Presidente della Repubblica, ogni provvedimento che riguardi i
magistrati, volendo così garantire, nell'interesse dei cittadini,
la magistratura dall'influenza del potere politico nella decisione
dei singoli casi e non il potere politico, che non ne ha alcun
bisogno, dalla magistratura.

Ora, è del tutto ovvio che un processo penale possa concludersi con
una condanna o con un assoluzione ed un procedimento civile con il
riconoscimento della ragione o del torto di chi lo promuove. Ed
altrettanto ovvio è che della condanna o della soccombenza
l'interessato si dolga.

Ma è inaccettabile che, per un esito sgradito alle parti di un
giudizio, le stesse parti non si limitino a criticare la decisione
o a domandarne la riforma negli ulteriori gradi di giudizio, ma
addirittura imputino pubblicamente a chi è stato giudice della
decisione sgradita di averla emessa perché politicamente schierato,
di attuare persecuzioni e di voler sovvertire gli equilibri
politici; per ragioni che restano, tra l'altro, sistematicamente
inesplicate, tanto più che la Costituzione prevede che i magistrati
siano nominati per concorso anche per evitare che possano nutrire
interesse ad un equilibrio politico anziché ad un altro. Deve
essere invece chiaro che tale modo di operare, se per un verso
consente a chi lo adotta di proclamarsi innocente nonostante la
condanna o di essere dalla parte della ragione anche se gli è stato
dato torto, per altro verso mina la credibilità di una fondamentale
istituzione dello Stato, così provocando un possibile vantaggio
privato con sicuro danno della collettività.

Se, poi, alla proclamazione dell'ingiustizia subita fa seguito
l'intrusione nella vita privata del giudice che ha emesso la
sentenza sgradita e l'annuncio di riforme destinate a diminuire la
funzione di garanzia demandata al  CSM, allora l'allarme varca
i livelli di guardia ed impone il dovere di denunciare
pubblicamente i pericoli insiti nella ventilata alterazione
dell'equilibrio fra i poteri.

E va sul punto espresso l'auspicio che la necessaria, conseguente
mobilitazione culturale possa creare i presupposti per
l'instaurazione di un dialogo con le Istituzioni e con le forze
politiche e della società civile.

E' quanto, appunto, i magistrati della Corte fanno col presente
documento, condividendo pienamente le preoccupazioni e la posizione
espressa dal CDC dell'ANM con la deliberazione del 17.10.2009 ed
aderendo al proclamato stato di agitazione.



2.- L'attuazione della funzione di garanzia demandata alla
magistratura nell'interesse dei cittadini dipende, peraltro, anche
da come la magistratura è posta in grado di funzionare.

Va nella direzione diametralmente opposta a quella di un efficace
funzionamento della giustizia l'eventualità - di cui v'è assordante
eco sulla stampa - di una repentina modifica normativa che
trattenga in servizio i magistrati fino a 78 anni. Le ragioni
dell'assoluta ed incondizionata contrarietà al continuo
innalzamento del limite di età per il collocamento a riposo dei
magistrati furono già illustrate dalla Giunta di questa stessa
sezione dell'ANM quando, nel 2002, esso fu portato da 72 a 75 anni.
Si disse allora che tale prospettiva era in evidente contraddizione
con la introdotta temporaneità degli uffici direttivi e che si
poneva in palese contrasto con l'esigenza di dare spazio a più
moderne e dinamiche culture dell'organizzazione ed a sensibilità
professionali più propense a sentire come componenti essenziali e
prioritarie delle responsabilità istituzionali anche i profili
inerenti alla resa del servizio giustizia in termini di
razionalità, concretezza, efficacia ed efficienza. Si aggiunge oggi
che tre ulteriori anni, aggiunti non a 72 ma a 75, esalterebbero in
maniera esponenziale gli inconvenienti allora prospettati,
arrecherebbero vantaggi del tutto irrilevanti all'erario,
valicherebbero decisamente - creando un caso davvero unico al mondo
- i limiti della vecchiaia, che merita senz'altro rispetto e che
ben può essere lucidamente vissuta, ma che tuttavia non è
comunemente una stagione della vita connotata da slancio, voglia di
fare e capacità di lavoro. L'invecchiamento progressivo dei
magistrati della Corte di Cassazione sarebbe poi generalizzato, con
risultati che non è difficile prevedere come disastrosi sotto il
profilo del rendimento, della qualità delle decisioni, della
mancanza di rotazione nei posti di vertice.

Già solo la notizia dell'eventualità di una tale riforma ha, del
resto, prodotto dirompenti effetti con riferimento all'assegnazione
di un ricorso alle Sezioni unite: è stata insinuata da parte della
stampa una sorta di "favore" reso dal Primo presidente a chi ha il
potere di consentirgli, procrastinando il suo collocamento a
riposo, di rimanere per ulteriori tre anni nel posto che occupa.
L'intervenuta, doverosa precisazione del Primo presidente - 
sfortunatamente non ancora pubblicata sulla stampa di oggi - 
non intacca comunque in alcun modo la decisa contrarietà alla
ventilata modifica del limite di età per il collocamento a riposo
dei magistrati.

I rilievi svolti inducono a domandare con forza che alla riforma
non si proceda.



3.- Occorrono invece riforme che davvero abbrevino i tempi di
definizione dei processi e non già che ne condizionino
l'esito.

Così non è per la riforma del processo civile nella parte che
riguarda il giudizio di cassazione, dove v'è ragione di temere che
la novella del 2009 non sortirà gli effetti auspicati, aggravando,
invece di attenuarlo sotto il profilo quantitativo, l'impegno
richiesto ai magistrati della Corte; i quali si sono profusi per
anni in sforzi notevolissimi, nella perdurante mancanza di ogni
riferimento a quanto un magistrato è effettivamente in grado di
produrre conservando i neccessari standards qualitativi.

Così non è neppure per il contenuto delle ventilate proposte di
riforma del processo penale, che paiono dirette non solo a
comprimere notevolmente i poteri-doveri del pubblico ministero in
tema di esercizio dell'azione penale (per il divieto di acquisire
personalmente la notizia di reato, che finisce col condizionarne
l'attività), ma anche ad indebolire il contrasto alla criminalità
organizzata per la proposta limitazione all'uso dell'insostituibile
strumento di indagine costituito dalle intercettazioni. La
riduzione dei termini di prescrizione renderebbe inoltre inutile
celebrare processi destinati a risolversi con la dichiarazione di
estinzione dei reati, con totale vanificazione delle energie
impiegate, talvolta per anni, nella conduzione di complesse
indagini preliminari e per lo svolgimento di lunghi dibattimenti in
primo ed in secondo grado.

Intanto, mentre continuano a mancare alla Corte oltre cinquanta
magistrati (con una scopertura dell'organico che incredibilmente si
aggira intorno al doppio della media degli uffici di merito) e
mentre ancora più gravi sono le carenze quantitative del personale
amministrativo, nulla viene fatto per ovviare alla vera ragione
dell'intasamento della Corte di cassazione, che è costituita
dall'enormità del numero dei ricorsi presentati annualmente (circa
100.000, da ben 40.000 avvocati abilitati a difendere innanzi alle
magistrature superiori, a fronte di poche centinaia di magistrati.
E' un dato unico nel mondo occidentale, con una sproporzione non
ulteriormente fronteggiabile mediante il ricorso al facile metodo
di più ricorsi più sentenze, che reca ovvi limiti intrinseci, da
tempo ampiamente superati.

E' invece tempo di serietà: serietà di obiettivi e di metodi, da
parte di tutti e nell'interesse di tutti, soprattutto dei
cittadini.

La Corte di cassazione, nella totalità dei magistrati che la
compongono e con il prezioso supporto del personale amministrativo
che li affianca, continuerà a profondere il massimo impegno per
raggiungerli,  ma a gran voce chiede al Parlamento ed al
Governo di essere effettivamente posta in grado di farlo.




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