La Giunta distrettuale di Palermo
condivide pienamente le considerazioni già espresse dal
C.D.C. il 6 marzo 2010 in ordine alla esigenza di
evitare commistioni improprie tra la funzione
giudiziaria e l'impegno politico o partitico del
magistrato che si determini ad entrare nella vita politica
del Paese.
Ritiene pure indispensabile un
intervento legislativo volto ad introdurre, a tutela della immagine
di imparzialità ed indipendenza dell'ordine giudiziario,
opportune limitazioni normative che delimitino l'esercizio
dell'elettorato passivo.
Siffatta iniziativa normativa
mira ad escludere che il magistrato possa abusare della posizione
dominante, acquisita nel contesto territoriale in cui opera,
per costruire una rete di collegamenti con centri di potere
utili a favorire il suo ingresso nell'agone politico.
Si tratta, dunque, di
assicurare la terzietà dell'ordine giudiziario, mediante
l'introduzione di norme direttamente incidenti sul dovere
deontologico del magistrato di tenere anche fuori dall'esercizio
delle funzioni giudiziarie un comportamento che non
incrini all'esterno l'immagine della sua imparzialità e della
sua autonomia da qualsiasi forma di condizionamento esterno.
E' pacifico, infatti, che nel
disegno costituzionale
<<
l'estraneità del magistrato alla politica dei
partiti e dei suoi metodi è in sé un valore di particolare
rilievo, in quanto mira a rassicurare il
cittadino sul fatto che il magistrato, sia esso giudice o pubblico
ministero, non sia guidato dal desiderio di far prevalere una
parte politica >> ( cfr. Corte
Costituzionale 8 luglio 2009 n.224 ) .
Il rispetto di tale valore,
che è direttamente correlato al mantenimento delle
prerogative costituzionali di autonomia e
imparzialità previste in favore dell'ordine giudiziario,
impone la delimitazione dell'esercizio dell'elettorato passivo del
magistrato, mediante l'introduzione del divieto di
candidatura ( sia per le elezioni politiche che per le
amministrative) nella regione in cui il magistrato
eserciti o abbia esercitato le sue funzioni giudiziarie.
Tale auspicio, del resto, è stato
testualmente espresso dal CSM proprio per le considerazioni che
precedono nella risoluzione del 28 aprile 2010 che ha pure
condivisibilmente invocato l'adozione di una normativa
primaria uniforme in qualunque competizione elettorale
politica o amministrativa diretta ad imporre al candidato
magistrato non eletto di non esercitare le funzioni per un periodo
di cinque anni nella circoscrizione in cui si sono svolte le
elezioni.
Inoltre, è indispensabile ed
urgente una novella legislativa in materia nel caso di magistrati
candidati o designati quali assessori nell'ambito di
elezioni o funzioni amministrative comunali,
provinciali e regionali da svolgere in territori diversi da quelli
ove essi esercitano o abbiano esercitato funzioni
giurisdizionali.
Invero, la normativa vigente (
art.60 n.6 dl.vo 227/00) consente ai magistrati in tal caso di
candidarsi o di accettare la designazione della carica di
assessore, senza esigere il loro collocamento in aspettativa non
retribuita, ovvero alcuna autorizzazione del CSM.: sicché
allo stato l' Organo di Autogoverno della Magistratura
non è nemmeno in grado di operare un monitoraggio del
numero di magistrati che in questo contesto temporale si trovino
nella atipica condizione di esercitare contemporaneamente funzioni
giurisdizionali e amministrative, sebbene in territori diversi del
Paese ( cfr. pagg.4-5 della menzionata risoluzione del CSM in
data 28 aprile 2010).
Per effetto dell'attuale regime,
quindi, il magistrato potrebbe perfino legittimamente fruire
contemporaneamente sia dello stipendio che degli emolumenti
correlati alla carica politico- amministrativa a lui assegnata.
Nella stessa linea si avverte
la necessità di adottare adeguate cautele per evitare
che l'immagine di imparzialità del potere giudiziario possa
essere seriamente deturpata dal rientro in servizio proprio di quei
magistrati che, in precedenza, abbiano accettato di svolgere
funzioni istituzionali essenzialmente politiche.
Il vivace e approfondito dibattito
che si è sviluppato in Giunta sulle soluzioni da adottare
anche de jure condendo per scongiurare tale rischio
ha delineato sostanzialmente l'esistenza di due distinti
orientamenti che, pur contrastanti, sono fondati entrambi su
argomentazioni di pari dignità, ispirate alla tutela di
distinte esigenze.
Invero, da un lato si è
sottolineato che, dovendosi comunque garantire sul piano effettuale
l'esercizio dell'elettorato passivo al magistrato, vada comunque
mantenuto l'attuale regime che consente il suo rientro, al
termine del mandato, nei ranghi della magistratura, sebbene
accentuando le cautele già adottate dal CSM .
Si è suggerito, infatti, di
estendere da 5 a 10 anni il divieto di esercizio delle
funzioni giudiziarie nello stesso territorio nel quale il
magistrato sia stato eletto, individuando tutta la
regione in cui il mandato è stato svolto quale sede in cui,
durante l'arco di tempo sopra indicato, dovrebbe operare
l'interdizione in questione ( cfr. i paragrafi XXVIII, XXIX e XXX
della circolare CSM n.12046/09 che attualmente prevede per anni
cinque il divieto per il magistrato di rientro nel distretto
di appartenenza e la sua destinazione ad un posto giudicante
viciniore diverso da indicato dall'art.11 c.p.p.).
Inoltre, sempre per scongiurare che
l'esercizio di funzioni politiche possa consentire, per
interferenze di poteri esterni, il mezzo per conseguire
inaccettabili scorciatoie nella carriera del magistrato si è
pure considerata, in sede di valutazione di professionalità,
l'esigenza di elaborazione di uno specifico parametro di
valutazione professionale comparativa: nel senso di
riconoscere sotto un profilo normativo un maggior
pregio all'impegno di quei magistrati che sono rimasti
sul campo a fronteggiare gli spinosi problemi dell'attuale sistema
giudiziario, rispetto alle esperienze extragiudiziarie maturate da
coloro che, per libera scelta, abbiano temporaneamente
svolto funzioni politiche.
Un altro orientamento più radicale
espresso in Giunta , invece, ha sottolineato che
il ruolo in precedenza svolto dal
magistrato in sede istituzionale quale espressione di forze
politiche ben determinate ( come parlamentari o componenti di
consigli o di giunte regionali o locali), incrina
irrimediabilmente la sua immagine di imparzialità
dinanzi alla pubblica opinione, non potendosi più
riconoscergli quella indefettibile qualità di
soggetto super partes che, proprio in
attuazione dei valori costituzionali sopra richiamati,
distingue la posizione di chi esercita le funzioni
giudiziarie .
Si osserva, sotto tale profilo, che
l'attuale sistema elettorale previsto dalla l.270/2005 nel
prevedere la lista bloccata e l'assenza del voto di
preferenza ha sostanzialmente mutato il rapporto tra elettore
ed eletto, affidando direttamente la scelta dei rappresentati da
eleggere alle segreterie e ai vertici dei partiti : in tale quadro
normativo è difficile pensare che il magistrato eletto per
designazione dei capi partito possa, al termine del mandato
istituzionale, improvvisamente perdere nell'opinione pubblica
quell'immagine correlata ad una precisa fazione politica.
Si è quindi, ritenuto che rimangano
comunque inadeguate sia le cautele attualmente adottate dal CSM,
che quelle più stringenti elaborate de iure condendo
dall'orientamento sopra esposto.
Non si comprenderebbe, infatti,
come la mera destinazione del magistrato a funzioni giudicanti,
sebbene in un territorio diverso dal suo collegio elettorale, possa
di per sé escludere il dubbio che questi
sia comunque guidato dal desiderio di far prevalere una parte
politica ( quella che lo ha candidato o designato), specie quando
la causa penale o civile sottoposta alla sua decisione riguardi un
cittadino facente parte di una fazione omologa o contraria.
Del resto, la Corte
Costituzionale con la menzionata decisione n. 224/2009, nel
ritenere che il diritto all'elettorato passivo del magistrato
può trovare legittime limitazioni per garantire i suddetti
prevalenti valori costituzionali, ha pure affermato la legittimità
della norma dell'ordinamento giudiziario che prevede come
comportamento rilevante sul piano disciplinare l'iscrizione del
magistrato a partiti politici o la partecipazione sistematica
e continuativa a fazioni politiche ( art.
3 comma 1 lett.h del d.l.vo n.109/06).
Sicché, potrebbe ipotizzarsi
che al termine del mandato elettorale o della designazione politica
il magistrato, pur mantenendo lo status e il trattamento
economico nel frattempo maturato, fosse destinato anche in
soprannumero all'esercizio di funzioni amministrative in sede
centrale o periferica.
Ritiene la GIUNTA che
ciascuna delle posizioni sopra illustrate sia meritevole di essere
sottoposta all'attenzione dell'Assemblea e al dibattito che ne
seguirà per tutti i successivi auspicabili spunti
di riflessione e approfondimento.
Preme, invece, sottolineare che su
questo delicato tema comunque,
la magistratura associata è tenuta ad offrire il suo meditato
punto di vista alle altre istituzioni e all' opinione
pubblica .
Quanto al collocamento fuori ruolo
dei magistrati, la Giunta sottolinea l'esigenza di delimitare
energicamente tale regime ai casi in cui sia imposto dalla legge o
da norme dell'Unione Europea o dai trattati internazionali.
In tal senso condivide pienamente
il recente orientamento del plenum del CSM che, verificando
l'insussistenza di un interesse dell'amministrazione della
giustizia, ha negato l'autorizzazione in una ipotesi in cui
nessuna norma di rango primario prevedeva necessariamente
l'assegnazione di un magistrato quale consulente giuridico del
Ministro della Gioventù ( delibera plenum del 10.11.2010).
Ritiene, però, che va
approfondito lo studio di procedure selettive fondate su parametri
obiettivi di valutazione che, da un lato permettano
l'individuazione di professionalità di rilievo in vista delle
delicate funzioni che tali magistrati andranno a svolgere e,
dall'altro, escludano anche il mero sospetto che la
designazione di essi costituisca il frutto di sottostanti relazioni
di dipendenza politica.
Sottolinea la Giunta che, in linea
generale, il protrarsi nel tempo del collocamento fuori ruolo può
creare una sorta di carriere parallele, ovvero l'acquisizione
di titoli persino prevalenti sui magistrati che rimangono ad
operare sul campo.
Sicché, sorge la
perplessità che l'attuale limite di tempo di collocamento fuori
ruolo fissato dalla legge in anni 10, con divieto di
singoli incarichi di durata superiore ad anni cinque -
aggiunto in sede di normazione secondaria dal CSM - sia troppo
ampio, oltre che incompatibile con il mantenimento in capo al
magistrato collocato fuori ruolo di quel livello di professionalità
necessario ad un funzionale esercizio delle funzioni giudiziarie al
momento della cessazione delle cennate incombenze ( cfr regime di
cui all'art.50 d.l.vo n.160/2006 e deliberazione CSM del 18
marzo 2008).
Sarebbe inoltre auspicabile,
nel rispetto delle esigenze sopra prospettate che, in aggiunta alle
attuali cautele già adottate dal CSM, il collocamento fuori
ruolo fosse consentito in favore di quei magistrati che
abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità e
purché in precedenza abbiano sempre svolto funzioni
giudiziarie ( in base all'attuale regime spetta ai magistrati di
seconda valutazione senza limitazioni derivanti da precedente
incarico, salvo nel caso in cui quello già espletato si sia
protratto per una durata di anni 5) .
Ciò consentirebbe di garantire
all'esterno il contributo di un magistrato fornito di una congrua
esperienza professionale e di scongiurare quell'inquietante
fenomeno del susseguirsi di in carichi extra giudiziari che,
allontanandolo dalle sue funzioni proprie, rischierebbe, di fatto,
di dequalificarlo, privandolo della cultura della
giurisdizione.
Sempre nella stessa linea, allo
scopo di evitare suggestioni economiche e di avanzamento di
carriera si potrebbe prevedere l'esclusione della aspettativa
retribuita in molti casi prevista ( che consente
all'interessato di aggiungere allo stipendio di magistrato
gli emolumenti dell'incarico fuori ruolo) e il divieto
temporaneo di assegnazione a funzioni direttive o
semidirettive dalla data di cessazione dell'incarico.
La Giunta, senza avere la
pretesa di aver risolto tutti i temi che attengono a questa
delicata e complessa materia, auspica solo che
attraverso un più completo e aperto dibattito interno ed
esterno, possa pure giungersi ad una
rivisitazione dei casi di
collocamento fuori del ruolo e alla predisposizione di un
regime operativo che, comunque, preservi sempre la trasparenza
delle procedure di assegnazione del magistrato destinatario.
Il presente documento,
approvato all' unanimità, viene trasmesso al C.D.C.