Ho l'onore di effettuare il presente
intervento, quale segretario della rinnovata Giunta locale
dell'ANM, facendo le veci del Presidente della Giunta, la collega
Alessandra Angeleri, oggi presente ma impegnata nel diverso ruolo
di membro del Collegio della Corte d'Appello dinanzi al quale si
tiene questa udienza di inaugurazione, a livello distrettuale,
dell'anno giudiziario.
Un anno fa, il Presidente della
precedente Giunta distrettuale esordiva in questa sede affermando:
"lo stato di assedio sembra essere cessato".
Dopo anni in cui la magistratura, in nome di una non meglio
qualificata spinta di riforma, è stata sottoposta a violenti
attacchi volti in primo luogo a limitarne l'autonomia e
l'indipendenza, più che a rafforzarne l'efficienza, dodici mesi fa
ci si è trovati dinanzi ad un governo "tecnico", che ha portato ad
un ripristino degli equilibri istituzionali in un'ottica di dialogo
per il miglioramento del sistema.
Da ciò, la speranza dell'associazione, nell'attuale, transitorio
contesto di campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, di
continuare ad essere individuata come interlocutore necessario ed
utile per un efficace monitoraggio delle esigenze del sistema
giudiziario, in una prospettiva di riforme utili a migliorarne la -
decisamente compromessa - efficienza.
Da anni e per anni l'Anm - per lo
più inascoltata - ha insistito su alcuni punti qualificanti,
ineludibili al fine di raggiungere tale obiettivo, quali:
la riforma del processo civile e
del processo penale, con implementazione delle procedure per via
telematica e riduzione delle garanzie cc.dd "di carta", che nulla
aggiungono in termini di effettiva tutela del cittadino e molto
tolgono in termini di ragionevole durata del processo;
Il primo obiettivo di riforma ha
finalmente trovato un approdo nei Decreti Legislativi 155 e 156 del
2012. Approdo epocale, in quanto solo attraverso la soppressione
delle sezioni distaccate di Tribunale e la riduzione degli uffici
giudiziari sul territorio si può cominciare ad ipotizzare un
recupero di efficienza del sistema.
Da pochissimi giorni è stata resa pubblica anche la «Proposta di
rideterminazione delle piante organiche degli uffici di primo
grado» prodromica all'adozione del decreto ministeriale per la
ridefinizione dell'organico dei Magistrati da assegnarsi ai 135
uffici giudiziari interessati dalla revisione.
L'Anm Umbra non può che salutare con
soddisfazione la riforma, inevitabilmente destinata a determinare
tagli, anche dolorosi, e ritiene inopportuno intrattenersi in
questa sede in valutazioni critiche, fin troppo scontate in casi
del genere, basate sulla mera comparazione fra chi ha "guadagnato"
in territorio e magistrati e chi invece ha "perduto" l'uno o gli
altri o entrambi, sulla base di una proposta che dovrà essere
ancora vagliata dagli organi a ciò preposti.
Anche la redistribuzione
territoriale degli Uffici giudiziari umbri appare sicuramente
migliorabile al fine di raggiungere quel difficile punto di
equilibrio fra le esigenze di funzionalità e specializzazione degli
Uffici e le particolari connotazioni del territorio regionale. Ma
ciò potrà farsi solo nella fase del collaudo operativo, e non
attraverso riesami anticipati del progetto: la ricerca della
perfezione teorica diventa sterile, se non testata in concreto.
Non si tratta di una partita a
scacchi né dell'estrazione a sorte di una lotteria, ma di uno
sforzo importante che - pur partendo da un intento di mera
razionalizzazione di spesa - ha raggiunto il primo obiettivo di
divenire legge dello Stato e di porre una scadenza temporale nel
breve termine, il 13 settembre 2013, per la sua concreta
attuazione. Termine che ha fortunatamente resistito al primo
"assalto alla diligenza" nel Parlamento di fine legislatura, ove
era stato proposto un emendamento, poi bocciato, di proroga
biennale del termine che avrebbe vanificato la riforma
stessa.
Ben venga dunque la rapida rideterminazione delle piante organiche,
e che sia resa operativa quanto prima, in uno con la ancor più
indispensabile rideterminazione degli organici del personale
amministrativo.
La riforma è del tutto condivisibile nei suoi obiettivi e deve
essere sollecitamente attuata.
La rinnovata Giunta dell'Anm Umbra si impegna - come punto
qualificante del proprio programma - a fornire il proprio apporto
sin dalla indispensabile ed ormai urgente fase di ricognizione
delle risorse esistenti, per rendere operativa la riforma e per
consentire ai colleghi ed al personale tutto di avviare questa
nuova fase nelle migliori condizioni logistiche ed operative
possibili.
Questo, però, non può che essere un
punto di partenza.
Perché, pur essendosi instaurato - come si diceva prima - un nuovo
clima, non si può dire che il mondo giudiziario viva con serenità
l'attuale fase di transizione. Non solo per il rischio di un
ritorno ai toni polemici del passato, ma anche per l'evidente
insostenibilità di un sistema che, a livello nazionale e a maggior
ragione a livello locale, presenta criticità notevoli e manca di
risorse.
La riforma delle circoscrizioni
giudiziarie è stata prevista "a costo zero", dunque ripartendo da
organici - non solo e non tanto di magistrati, ma anche e
soprattutto di personale amministrativo da redistribuire sul
territorio - che risultano da anni inadeguati e caratterizzati da
ampie scoperture e da un'età media anagrafica e di servizio in
costante, preoccupante innalzamento.
D'altra parte il Parlamento ed il Governo, per assicurare una
risposta rapida alla ineludibile domanda di giustizia, hanno
emanato sempre nuove disposizioni, che fissano termini sempre più
brevi e stringenti per l'emissione dei provvedimenti
giurisdizionali, senza preoccuparsi di fornire risorse adeguate
all'attuazione di quelle norme.
Basti pensare, ad esempio, alla cosiddetta legge Fornero e alla
riforma delle impugnazioni dei licenziamenti in essa contenuta,
che, pur nell'intento di garantire una sollecita definizione di
queste controversie, crea nuove articolazioni del giudizio, che ne
rendono più farraginoso e, quindi, meno efficiente l'iter, a
discapito dei tempi di definizione delle altre controversie di
lavoro.
Egualmente sono "a costo zero" la legge che ha istituito il
Tribunale delle imprese presso i Tribunali delle città capoluogo di
regione e presso le Corti d'Appello, e quella sulla tutela dei
diritti dei figli naturali, che attribuisce vaste competenze al
Tribunale civile, sottraendole al Tribunale per i minorenni, senza
tuttavia prevedere alcuna modifica nella dotazione dei rispettivi
organici.
Si tratta d'interventi caratterizzati tutti dall'intento di
favorire la rapida trattazione di procedimenti riguardanti
soggetti, ritenuti di volta in volta meritevoli di particolare
attenzione, da parte di magistrati sempre più specializzati.
Ma tale obiettivo viene perseguito creando comunque delle corsie
preferenziali che finiscono con l'intasare ulteriormente il già
congestionato sistema giudiziario e per portare scompensi nella
gestione complessiva degli affari, con molteplici ricadute
negative: a parità di dotazioni di mezzi e personale, si
raggiungerà (forse) l'obiettivo di velocizzare alcune categorie di
processi, a scapito di altre, e non si potrà comunque giungere ad
una riduzione dei tempi complessivi della giustizia che, come
emerge anche dalla relazione del Ministro Severino al Parlamento,
continuano a crescere nel settore penale e decrescono solo
leggermente nel settore civile (ma più come conseguenza
dell'abbandono della via giudiziaria di risoluzione delle
controversie da parte dei cittadini e delle imprese che non come
effetto di riforme incisive).
Ulteriori rilevanti conseguenze per l'intero assetto del nostro
ordinamento potrebbero discendere dalla sentenza dell'8 gennaio
2013 della Corte EDU, che ha ingiunto allo Stato italiano di
introdurre, entro il termine di un anno dal momento in cui la
sentenza della Corte sarà divenuta definitiva, "un ricorso o un
insieme di ricorsi interni idonei ad offrire un ristoro adeguato e
sufficiente per i casi di sovraffollamento carcerario, in
conformità ai principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte",
invitando giudici e pubblici ministeri a ricorrere a misure
alternative alla detenzione" . Nella sua prima pronuncia sul tema
la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha individuato
nel giudice civile l'autorità giudiziaria competente a pronunciarsi
sulla domanda di condanna dell'amministrazione penitenziaria al
risarcimento dei danni derivanti da lesione dei diritti del
detenuto" .
La giustizia ordinaria sarà, quindi, chiamata ad affrontare un
aumento di contenzioso a causa della mancata risposta delle
istituzioni all'emergenza carceraria. Peraltro, con la mancata
approvazione del disegno di legge proposto dal Governo sulle misure
alternative alla detenzione è stata persa un'importante occasione
per affrontare un problema che - citando il Presidente della
Repubblica - "non fa onore all'Italia".
Il vero sforzo dovrebbe essere compiuto, ad avviso della Giunta che
rappresento, verso una complessiva semplificazione procedurale, nel
duplice senso della eliminazione progressiva dei riti speciali e
della riduzione degli incombenti superflui.
Esempio lampante e ricorrente, in materia di processo penale, è
costituito dalla inutilmente com-plessa disciplina delle
notificazioni. Solo con la riduzione delle notifiche degli atti del
procedimento e con l'introduzione, ad esempio, dell'obbligo di una
prima notifica a mani dell'indagato, cui va comunque garantita una
difesa tecnica nel prosieguo, si potrebbero ridurre notevolmente i
tempi di pendenza dei processi, con indubbio giovamento per il
sistema e senza oneri aggiuntivi per lo Stato.
La serenità è un bene prezioso per
qualsiasi cittadino o categoria di cittadini. Essa difficilmente
viene meno dinanzi a sfide importanti o alle avversità in quanto
tali. E la magistratura e il personale degli uffici giudiziari
hanno dato negli anni ampia prova di ciò.
Ma la sfiducia può permeare qualsiasi tessuto, quando la trama del
tessuto si dirada.
Assistiamo, da questo punto di vista, a spinte tra loro fortemente
confliggenti.
Da un lato, finalmente, un primo serio tentativo di serrare e
rafforzare la trama del sistema giustizia con la riforma delle
circoscrizioni, alla cui attuazione la magistratura associata
intende fornire il suo fattivo contributo.
Dall'altro, la mancanza di qualsivoglia adeguamento di risorse
personali, materiali e organizzative, la cui carenza ormai da
decenni affligge il sistema, che certo costituisce una spinta
opposta.
Ulteriori spinte, poi, non si limitano a indebolire la trama del
sistema. La giustizia italiana, per proseguire con la metafora, non
può essere rappresentata come un tessuto omogeneo sul territorio
nazionale, ma presenta piuttosto aree particolarmente esposte al
rischio di lacerazione.
Tra queste c'è sicuramente il distretto umbro, ed in particolare il
suo capoluogo, messo a dura prova, tra l'altro, dalla competenza
determinata ai sensi dell'art. 11 c.p.p.
Un'emergenza realmente tale in questo distretto è infatti
rappresentata, nel settore penale, dalla particolare onerosità e
complessità dei procedimenti derivanti dalla competenza sugli
uffici giudiziari di Roma e del Lazio, e, nel settore civile, dai
procedimenti di equa riparazione, trattati dalla Corte d'appello,
che qui hanno raggiunto una consistenza numerica assolutamente
sproporzionata rispetto agli organici, com'è stato fra l'altro di
recente riconosciuto dallo stesso Consiglio Superiore della
Magistratura. La recente riforma della c.d. legge Pinto, entrata in
vigore l'11 settembre 2012, non reca, in realtà, grande sollievo,
poiché l'arretrato da trattare con il vecchio rito è soverchiante
rispetto alle forze disponibili e perché arresti giurisprudenziali
anche recentissimi hanno ampliato ulteriormente la già consistente
sfera di competenza perugina, ad esempio riversando sulla Corte
d'appello di Perugia i procedimenti di equa riparazione per i
ritardi nei processi svoltisi dinanzi a TAR del Lazio, Consiglio di
Stato e Corte dei Conti in sede centrale e determinando un
incremento esponenziale delle iscrizioni di ricorsi, trattandosi di
uffici che hanno giurisdizione sull'intero territorio
nazionale.
Tale situazione peraltro si riverbera anche sui colleghi degli
altri circondari del distretto, chiamati a fornire il loro
contributo per fronteggiare l'emergenza, così rischiando di
trasformare l'intero nostro distretto in una sorta di dépendance
giudiziaria della Capitale, a discapito del servizio da fornire a
chi nel territorio umbro vive e lavora.
Corollario paradossale della situazione è il considerevole
incremento del rischio per i colleghi di subire procedimenti
disciplinari derivanti dagli inevitabili ritardi che la situazione
in sé crea.
Ulteriore, pesantissimo corollario, è costituito dalla progressiva
sfiducia che sempre più prende piede tra il personale che opera
negli uffici giudiziari, che si vede sempre più ridotto in termini
quantitativi e sempre più subissato da incombenze che si
accavallano tra loro, rendendo veramente strenuo lo sforzo per
"portare avanti l'ufficio".
Dinanzi a tale quadro, la Giunta distrettuale, che ha inserito
quale primo punto del proprio programma il tema della verifica
della adeguatezza dei mezzi per garantire il dignitoso svolgimento
delle funzioni dei magistrati, chiede al Consiglio Superiore, al
Governo ed al Parlamento di prendere con urgenza in carico la
questione, la cui risoluzione non può che passare o per una
rimodulazione del sistema di determinazione della competenza ex
art. 11 c.p.p. (non più seguendo l'attuale criterio di prossimità
territoriale per così dire "a catena", ma individuando criteri
legati anche alla tendenziale simmetria dimensionale tra Uffici
competenti per il giudizio e distretti "giudicandi") oppure per un
auspicato, significativo ampliamento di organico degli uffici
giudiziari perugini di primo e di secondo grado.
Questo, dopo la revisione delle circoscrizioni, è l'altro
indispensabile passo avanti che la Sezione umbra dell'ANM chiede di
fare per rendere sostenibile il sistema e per consentire a chi
opera quotidianamente negli uffici di rendere giustizia in maniera
efficace, in termini ragionevoli e a tutti coloro che la
domandano.