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13 febbraio 2016

Documenti sulla questione morale approvati dal CDC

Documento  di  sintesi  sulla  questione  morale


Recenti vicende di cronaca impongono una rinnovata riflessione da  parte della  magistratura associata sulla questione morale, sia  sul versante associativo, sia sul versante della  normazione  primaria e  secondaria, in  materia  di  organizzazione degli  uffici  e  responsabilità di  coloro  che  ricoprono incarichi  direttivi  o  semidirettivi. 


E'  indispensabile che in tutte le  sedi associative e  istituzionali si attui un' effettiva vigilanza  sull’etica dei nostri comportamenti al  fine di evitare che la condotta censurabile di  pochi abbia gravi ricadute in termini di credibilità sull'operato dei magistrati che quotidianamente danno prova di serietà professionale, spirito di sacrificio ed  imparzialità.  


L'ANM   si  impegna  a promuovere


1) la  modifica del codice  deontologico, inserendo un espresso divieto  per  ogni magistrato di accettare regalie sotto qualsiasi  forma   nonché   prevedendo il rispetto di criteri di adeguata economicità nella liquidazione degli incarichi agli  ausiliari del  Magistrato  oltre ad  una opportuna  rotazione negli  incarichi degli  stessi;  


2) la modifica dello Statuto,  prevedendo: a) la decadenza  automatica dell'associato  sottoposto alla misura cautelare penale o disciplinare della sospensione dalle  funzioni  b) il  potere di impulso, da  parte delle Giunte Sezionali, per  adire il  Collegio dei  Probiviri,   secondo l’articolato specificato nel documento esplicativo che  si  allega  al presente.   


L'ANM  chiede  al  CSM  


di rielaborare in termini di circolare la risoluzione dell' 1 luglio del 2010 in  ordine ai  poteri di  vigilanza del Consiglio Giudiziario, chiarendo e  specificando  che  i  poteri di  vigilanza debbano essere indirizzati anche alla verifica dell’equa distribuzione degli incarichi, da parte dei magistrati, tra i professionisti.  


L'ANM  chiede  infine  al  legislatore di  prevedere un meccanismo analogo a quello dell'art 23  disp. att. c.p.c (rubricato "vigilanza  sulla  distribuzione degli incarichi") in  tutti  i  settori  della giurisdizione e  con  riferimento a  tutti  gli ausiliari del  giudice, in  modo che  la regola della tendenziale rotazione ed  equilibrata ripartizione degli  incarichi, del  tutto compatibile con  la  necessità di  un  rapporto  fiduciario tra  il  giudice ed  il  suo  ausiliario,  assurga  a  regola  giuridica  di  carattere  generale.


Si  rinvia al  documento esplicativo per  un'articolata  formulazione delle  sintetiche proposte sopra  formulate.  


Roma, 13 febbraio 2016


DOCUMENTO GRUPPO DI LAVORO SULLA “QUESTIONE MORALE”


Come si è opportunamente affermato nel documento approvato dal Comitato Direttivo Centrale del 12 dicembre 2015 “Recenti vicende di cronaca impongono una rinnovata riflessione da parte della magistratura associata sulla questione morale, sia sul versante associativo, sia sul versante della normazione primaria e secondaria, in materia di organizzazione degli uffici e responsabilità di coloro che ricoprono incarichi direttivi o semidirettivi.


E’ indispensabile che in tutte le sedi associative e istituzionali si attui un’effettiva vigilanza sull’etica dei nostri comportamenti al fine di evitare che la condotta censurabile di pochi abbia gravi ricadute in termini di credibilità sull’operato dei magistrati che quotidianamente danno prova di serietà professionale, spirito di sacrificio ed imparzialità”.


MODIFICHE STATUTARIE


In tale ottica occorrono in primo luogo interventi di modifica statutaria e infatti il Comitato Direttivo Centrale con delibera del 12 dicembre ha evidenziato come l’attuale Statuto non disciplina in maniera dettagliata i presupposti e le modalità di attivazione dei poteri d’iniziativa del Collegio dei Probiviri e non prevede strumenti d’intervento cautelare idonei a garantire la tempestività e l’efficacia del sistema disciplinare interno all’associazione.


In tal senso, si è data indicazione di procedere ad alcune modifiche statutarie al fine di introdurre una disciplina dei presupposti di attivazione dei poteri dei Probiviri e di introdurre misure che assicurino l’immediata sospensione dall’esercizio dei diritti sociali, nel caso in cui un associato sia sottoposto a misure cautelari personali ovvero alla sospensione dalle funzioni giudiziarie, in sede disciplinare.


In tali casi ultimi casi, essendo già intervenuto un vaglio giurisdizionale, è stato già rilevato, anche per esigenze di tempestività, come possa essere sufficiente una presa d’atto da parte del Collegio dei Probiviri, organo deputato all’esercizio dell’azione disciplinare, con conseguente immediata adozione del predetto provvedimento cautelare.


In ogni altro caso in cui siano poste in essere condotte rilevanti ai sensi dell’art 9 dello Statuto, invece è stata ritenuta opportuna l’introduzione di una procedura cautelare, anche a prescindere dall’intervento di misure cautelari personali o disciplinari, demandando i relativi poteri d’impulso al Collegio dei Probiviri e la competenza per l’adozione del provvedimento cautelare al CDC (cfr. delibera del CDC del 12 dicembre).


Sulla base delle suddette indicazioni il gruppo di lavoro ha elaborato le seguenti proposte di modifica dello Statuto :


ATTIVAZIONE DEI POTERI DEL COLLEGIO DEI PROBIVIRI


L’art. 37 dello Statuto prevede che il Collegio dei Probiviri è convocato in Roma dal suo Presidente ogni volta che sia necessario e deve essere convocato in caso di richiesta da parte di almeno tre dei suoi componenti.


Tale disposizione nella pratica ha comportato che in molti casi il collegio dei probiviri, pur in presenza di vicende gravi, non si sia in realtà mai attivato, non avendone ricevuto formale notizia.


Il gruppo di lavoro ha ritenuto che tali situazioni di “impasse” possano essere superate prevedendo che siano le Giunte sezionali a comunicare situazioni di tipo disciplinare che siano avvenute nel proprio distretto. Tale proposta è stata ritenuta preferibile rispetto a quella di individuare come organo propulsivo la GEC o anche il suo Presidente o il Segretario Generale. tale soluzione avrebbe infatti  sollevato problemi di incompatibilità, tenuto conto che i componenti della GEC sono anche componenti del CDC, organo chiamato a deliberare sulle proposte del Collegio dei Probiviri. Si è anche evidenziato come la soluzione prospettata agevola la conoscenza di situazioni locali che pur gravi possono sfuggire al Collegio o anche alla conoscenza della GEC, laddove non abbiano avuto un risalto nazionale.


Si propone pertanto la seguente modifica (evidenziata in neretto) dell’art. 37 dello Statuto.


Art. 37 - Collegio dei Probiviri


Il Collegio dei Probiviri è composto di cinque membri, i quali, nella prima seduta successiva alle elezioni, eleggono nel loro seno il Presidente.


Esso dura in carica due anni.


Spetta al Collegio dei Probiviri:


a) di provvedere in materia disciplinare a norma dell’art. 11;


b) di sindacare sulla regolarità delle operazioni elettorali nell’Associazione con obbligo di riferire al Comitato Direttivo per i relativi provvedimenti.


Il Collegio dei Probiviri è convocato in Roma dal suo Presidente ogni volta che sia necessario e deve essere convocato in caso di richiesta da parte di almeno tre dei suoi componenti o da parte di una Giunta sezionale.


Esso delibera a maggioranza dei voti.


 


STRUMENTI CAUTELARI


Le ultime vicende giudiziarie hanno evidenziato come il nostro Statuto non preveda  la possibilità di adottare misure cautelari che possano garantire la tempestività e l’efficacia del sistema disciplinare interno all’associazione. In tal senso si propongono le seguenti modifiche statutarie secondo la duplice direttiva della delibera del CDC del 12 dicembre, da un lato introducendo misure che assicurino l’immediata sospensione dall’esercizio dei diritti sociali, nel caso in cui un associato sia sottoposto a misure cautelari personali ovvero alla sospensione dalle funzioni giudiziarie, in sede disciplinare e l’introduzione, dall’altra, di una procedura cautelare, anche a prescindere dall’intervento di misure cautelari personali o disciplinari.


Si propongono pertanto le seguenti modifiche (evidenziate in neretto) dell’ art. 11 dello Statuto.  




Art. 11. - Procedimento disciplinare


Il Collegio dei Probiviri esercita l’azione disciplinare, ha poteri istruttori e presenta le sue conclusioni al Comitato Direttivo Centrale, dopo aver sentito il socio sottoposto al procedimento.


Il parere del Collegio dei Probiviri vincola la decisione del Comitato Direttivo Centrale solo nel senso favorevole al socio sottoposto al procedimento.


Il Comitato Direttivo Centrale delibera ed infligge le sanzioni con la maggioranza dei due terzi e può disporne la pubblicazione nel giornale dell’Associazione. Allo stesso modo provvede per l’adozione dei provvedimenti cautelari richiesti o adottati dal Collegio dei Probiviri di cui ai successivi commi 5 e 6.


Contro il provvedimento del Comitato Centrale è ammesso il ricorso dell’Assemblea generale entro venti giorni dalla comunicazione. In tal caso il Comitato Direttivo Centrale, su parere del Collegio dei Probiviri, può ordinare la sospensione dell’esecuzione del provvedimento disciplinare fino all’esito del ricorso.


Nel corso del procedimento, il Collegio dei Probiviri laddove ravvisi la sussistenza di condotte rilevanti ai sensi dell’ art. 9 dello Statuto che siano fonte di grave discredito per l’Ordine Giudiziario e per l’immagine della Magistratura può richiedere, in caso di urgenza, al CDC l’adozione di provvedimenti di sospensione cautelare dall’esercizio dei diritti sociali fino al termine del procedimento disciplinare e comunque per un periodo massimo non superiore ad un anno.


Il Collegio dei Probiviri può adottare direttamente i provvedimenti di sospensione di cui al precedente comma in tutti i casi in cui abbia avuto notizia dell’applicazione nei confronti di un socio di misure cautelari personali o di sospensione dalle funzioni giudiziarie in sede disciplinare. Sul provvedimento di sospensione così adottato delibera il CDC ai sensi del precedente comma 3.


CODICE ETICO


Altro ambito sul quale si dovrà opportunamente operare è quello della disciplina dei doveri del magistrato condensati nel Codice etico. Il Codice etico va integrato e arricchito di ulteriori e più chiari imperativi deontologici specie alla luce del DPR n. 62/2013 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici) varato a norma dell’http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2001_0165.htm - 54art. 54 D.lgs n. 165/2001 nel testo modificato dall’art. 1, comma 44, L. n. 190/2012. Infatti a maggior ragione per la magistratura si ritiene che non possano obliterarsi alcuni precetti fondamentali invece non esplicitamente presenti nel codice ANM rinnovato nel 2010.


Invero, uno degli aspetti più sensibili è offerto dalla previsione del dovere di correttezza con riguardo a doni e regalie. Ora, laddove il Codice generale per la p.a. contempla al riguardo un’apposita disposizione, l’art. 4, che nei suoi primi cinque commi così recita:


1. Il dipendente non chiede, né sollecita, per sé o per altri, regali o altre utilità.


2. Il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali. In ogni caso, indipendentemente dalla circostanza che il fatto costituisca reato, il dipendente non chiede, per sé o per altri, regali o altre utilità, neanche di modico valore a titolo di corrispettivo per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre benefici da decisioni o attività inerenti all’ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto.


3. Il dipendente non accetta, per sé o per altri, da un proprio subordinato, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore. Il dipendente non offre, direttamente o indirettamente, regali o altre utilità a un proprio sovraordinato, salvo quelli d’uso di modico valore.


4. I regali e le altre utilità comunque ricevuti fuori dai casi consentiti dal presente articolo, a cura dello stesso dipendente cui siano pervenuti, sono immediatamente messi a disposizione dell’Amministrazione per la restituzione o per essere devoluti a fini istituzionali.


5. Ai fini del presente articolo, per regali o altre utilità di modico valore si intendono quelle di valore non superiore, in via orientativa, a 150 euro, anche sotto forma di sconto. I codici di comportamento adottati dalle singole amministrazioni possono prevedere limiti inferiori, anche fino all’esclusione della possibilità di riceverli, in relazione alle caratteristiche dell’ente e alla tipologia delle mansioni”


Il Codice etico della magistratura sintetizza ed esaurisce il punto nella sola previsione che segue, presente al comma 1 dell’art. 10 (“Obblighi di correttezza del magistrato”):


“Il magistrato non si serve del suo ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi per sé o per altri”.


 


Occorre pertanto ripensare ad una formula simile a quella dell’art. 4 che tuttavia, tenendo conto delle peculiarità della funzione giurisdizionale, preveda un intervento ancora più rigoroso e forte.


Ed ancora, l’inevitabile frequenza nelle nomine di periti, consulenti, amministratori giudiziari, curatori fallimentari e altro, specie in alcuni settori della giurisdizione recentemente oggetto di violente fibrillazioni, non può non prevedere a monte un precetto che spinga eticamente il magistrato ad adottare il massimo degli accorgimenti possibili, così da essere - ma anche apparire - immune da tentazioni personalistiche o interessati strumentalismi. A tal riguardo potrebbe integrarsi l’art. 4 del Codice dell’ANM (“Modalità d’impiego delle risorse dell’amministrazione”) con l’inserimento in ultimo della seguente proposizione:


Nella scelta di periti, consulenti e comunque di collaboratori esterni cura la massima equanimità e trasparenza evitando ripetizioni ingiustificate nelle nomine degli incaricati ed informando le corrispondenti liquidazioni, nel rispetto di leggi e regolamenti, a criteri di opportuna economicità”


NORMAZIONE SECONDARIA


Si richiedono altresì interventi specifici del Consiglio Superiore della Magistratura con riferimento alla vigilanza sui dirigenti degli Uffici Giudiziari posto che oggi tale figura istituzionale, ai fini di un buon governo della Magistratura, è sempre più chiamata a svolgere un ruolo non di mera conoscenza di ciò che accade in un ufficio ma piuttosto ad attivarsi e darsi carico delle questioni organizzative generali e di quelle che si riflettono sul lavoro del singolo magistrato.


E “attivarsi” significa dunque tendere in ogni modo ad assicurarsi piena consapevolezza di ogni evenienza dell’ufficio al fine di prevenirne i guasti e garantirne il miglior risultato possibile.


In tale direzione nell’ambito degli interventi consiliari occorrerebbe integrare e rafforzare in termini di Circolare la risoluzione consiliare dell’1 luglio 2010 sui poteri di vigilanza dei Consigli Giudiziari.


In particolare occorrerebbe valorizzare il disposto della lett. d) dell’art. 15 del D.lgs n. 25/2006 secondo cui i Consigli Giudiziari “esercitano la vigilanza sull’andamento degli uffici giudiziari del distretto…


In quella risoluzione il CSM ha stigmatizzato la funzione di vigilanza come “un’attribuzione del tutto inedita, la quale consacra la progressiva centralità che i Consigli giudiziari hanno acquisito nel sistema complessivo dell’autogoverno. Infatti, l’esercizio della vigilanza sugli uffici, da sempre prerogativa dei dirigenti degli uffici giudiziari, implica il riconoscimento di una posizione ordinamentale di tutto rilievo, giacché presuppone competenze qualificate e decisivi poteri di intervento”.


Ovviamente occorre precisare che il potere di sorveglianza, storicamente spettante ai dirigenti secondo le previsioni contenute nel Titolo II del R.D. Lgs. 31 maggio 1946 n. 511, mantiene intatta la propria vigenza giacché indirizzato al controllo dei magistrati dell’ufficio, mentre la prerogativa oggi spettante ai Consigli Giudiziari è mirata sugli uffici.


Da quanto detto discende un’architettura della vigilanza certamente composita che, ove interpretata in un’ottica riduttiva quanto al raggio d’azione discendente dalla citata lett. d) appare incomprensibilmente destinata a tenere fuori dal controllo proprio i dirigenti, veri artefici e responsabili del buon (o cattivo) funzionamento di un ufficio.


Ed infatti il controllo sui magistrati sarebbe esercitato dai dirigenti mentre il Consiglio Giudiziario eserciterebbe una vigilanza solo sull’Ufficio.


E’ dunque sul piano dell’incidenza dei poteri d’intervento dei Consigli Giudiziari, dell’ampiezza del loro raggio d’azione, che va prospettata una reale possibilità di esplorazione nel tempo dell’attitudine e dell’impegno organizzativo dei dirigenti degli uffici del distretto, disinnescando l’ambiguità dell’equivoco concettuale secondo cui la vigilanza sugli uffici esclude un monitoraggio della loro dirigenza.


Pertanto, se così s’intende l’attività di vigilanza dei Consigli Giudiziari, peraltro fisiologicamente strumentale anche alle valutazioni pure loro spettanti in tema di conferma dei magistrati con incarichi direttivi, ne discende allora la garanzia di un’attenzione perenne e di prossimità all’operato di questi ultimi; un’attenzione opportunamente diretta, inoltre, ad agevolare la costanza del loro impegno organizzativo e funzionale nel corso del tempo.


Nell’esigenza di riempire di contenuti effettivi siffatto potere consiliare intermedio ecco quindi profilarsi la necessità di garantire a regime - e con apposita Circolare - ciò che la mera risoluzione del 2010 annota in un passaggio come frutto di occasionale prassi di alcuni Consigli Giudiziari, ossia la doverosa previsione di un programma di verifica dell’andamento degli uffici giudiziari e con essa la creazione di un organismo interno al Consiglio Giudiziario - ipoteticamente qualificabile come “Commissione di Vigilanza” - stabilmente dedicato all’attuazione del programma e alle necessarie attività ad esso strumentali, ivi comprese periodiche audizioni dei dirigenti.


L’autonoma potestà regolamentare dei Consigli Giudiziari va quindi orientata dal CSM alla luce di una mirata circolare idonea a rendere effettivo il potere di controllo nell’intero distretto, stabilendo inoltre i tempi e le modalità di trasmissione dei suoi esiti al CSM (destinatario non previsto dal testo della lett. d) dell’art. 15 cit. e soltanto suggerito tra le linee-guida della risoluzione del 2010), affinché quest’ultimo sia messo in grado di canalizzare risultati virtuosi alla stregua di best practices, ma anche e soprattutto di tempestivamente intercettare e correggere guasti e anomalie degli uffici giudiziari, monitorando contemporaneamente l’operato dei suoi dirigenti.


NORMAZIONE PRIMARIA


Altro versante di necessario intervento riguarda sicuramente la normazione primaria. Le recenti vicende giudiziarie di cui si è detto in premessa hanno reso evidente la necessità di prevedere per ogni settore della giurisdizione una norma che, sulla falsa riga dell’art. 23 della DD.AA. al c.p.c., regolamenti in maniera più puntuale la distribuzione degli incarichi agli ausiliari introducendo altresì poteri di vigilanza sui dirigenti degli uffici; poteri che ovviamente servono sia in funzione di controllo sia per regolamentare il settore in modo tale che il dirigente sia messo nelle condizioni di conoscere per meglio e tempestivamente intervenire.


 



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