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23 dicembre 2021

Ergastolo Ostativo. Audizione della Giunta esecutiva centrale presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati

Audizione in Commissione Giustizia della Camera dei deputati il 22 novembre 2021 della Giunta dell’Associazione nazionale magistrati sulla proposta di Testo unificato recante “Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n.203, e al codice penale, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia”

Osservazioni

Art. 4-bisl. n. 354 del 1975: comma 1-bis

1. L’impianto del nuovo testo unificato sembra in linea con gli indirizzi della Corte costituzionale: per il condannato non collaborante viene meno la presunzione assoluta di pericolosità che sarebbe in contrasto con la finalità rieducativa della pena (27 co. 3 Cost.) e con l'esigenza di considerare il percorso penitenziario di ciascun detenuto. 

Sarà compito della Magistratura di sorveglianza valutare, caso per caso, se applicare la misura alternativa, verificando non solo il percorso penitenziario del singolo detenuto, ma anche, e soprattutto, che non vi siano tuttora permanenti collegamenti con il gruppo mafioso o terroristico di appartenenza. 

La nuova formulazione del comma 1-bis richiama un passaggio argomentativo della sentenza. n. 253 del 2019 della Corte costituzionale che, in relazione ai permessi-premio, aveva espresso l’esigenza di dare vita a un regime differenziato per il collaborante rispetto al non collaborante, con l’introduzione, per quest’ultimo, di un “onere probatorio rafforzato”, esteso «all’acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali» (punto 9 del ‘considerato in diritto’).

2. È condivisibile la scelta di coinvolgere nella riscrittura del testo normativo tutti i benefici penitenziari ivi indicati, oltre che la liberazione condizionale, altrimenti sarebbero stati con ogni probabilità necessari nuovi interventi della Corte costituzionale, come suggerito nella parte conclusiva dell’ordinanza n. 97 del 2020.

Nel testo unificato si è scelto di introdurre una differenza di regime tra permessi premio da un lato e altri benefici penitenziari e liberazione condizionale dall’altro. 

Per i permessi premio, la presunzione da mancata collaborazione perde carattere di assolutezza anche per i condannati a pena temporanea.

Negli altri casi, il carattere assoluto della presunzione di attualità di collegamenti con la criminalità organizzata viene meno solo per i condannati all’ergastolo.

Tale soluzione potrebbe risultare poco coerente, costringendo la Corte Costituzionale a nuovi interventi per assicurare uniformità di trattamento, in quanto l’onere di collaborazione imposto ai condannati a pena temporanea per reati ostativi, come condizione di accesso ai benefici diversi dai permessi premio, continuerebbe a risultare eccessivamente gravoso, nella misura in cui (mutuando le espressioni della sentenza n. 253 del 2019, riprese nell’ordinanza n. 97 del 2020) “non solo richiede la denuncia a carico di terzi (carceratus tenet uralios detegere), ma rischia altresì di determinare autoincriminazioni, anche per fatti non ancora giudicati”.

D’altra parte, la ricordata sentenza della Corte costituzionale sui permessi premio, che ha anticipato il ragionamento della successiva ordinanza n. 97 del 2020 sulla liberazione condizionale, sebbene sollecitata dai giudici remittenti con specifico riguardo alla posizione di condannati a pena perpetua per reati cosiddetti ostativi ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1, non ha operato alcuna distinzione nella conclusiva pronuncia di illegittimità.

3. Nel nuovo comma 1-bis scompare il riferimento alle situazioni di collaborazione impossibile e di collaborazione inesigibile, che a questo punto sono parificate nel trattamento ai casi di collaborazione ben possibile ma non prestata.

L’equiparazione potrebbe non essere pienamente ingiustificata, perché le differenze tra chi non può collaborare e chi non vuole collaborare sono significative. Il risultato è un poco comprensibile aggravamento delle condizioni del condannato che non possa collaborare in modo significativo rispetto al trattamento che oggi la legge gli riserva. 

4. Nel testo unificato manca una elencazione di indicatori specifici che avrebbero potuto meglio indirizzare – sia pure in termini esemplificativi e non esaustivi – il giudizio della magistratura di sorveglianza. È stato anche escluso – rispetto ai testi precedenti - ogni riferimento alle ragioni della mancata collaborazione, soluzione che si condivide nella misura in cui tale indicazione rappresentava una condizione necessaria per l’accesso ai benefici, anziché un possibile elemento valutativo come indicato dalla stessa Corte costituzionale nella più volte ricordata ordinanza n. 97 del 2020.

Invero, se nulla impedisce di tener conto della eventuale maturata capacità da parte dell’interessato di indicare le ragioni della sua mancata collaborazione, non sarebbe ipotizzabile far dipendere da questa emersione la concessione stessa del beneficio.Imporre che siano sempre accertate “specifiche ragioni della mancata collaborazione” da parte del detenuto condannato per reato ostativo, individuandolo quale condizione per la concessione dei benefici, significherebbe infatti riaffermare il rapporto di scambio tra informazioni utili a fini investigativi e conseguente possibilità per il detenuto di accedere al normale trattamento penitenziario. 

Tra le ragioni che possono porsi alla base di una scelta di non collaborazione può esservi infatti il timore di subire ritorsioni o di esporre i propri familiari alle stesse, che di fatto potrebbero non essere illustrabili in modo circostanziato dall’interessato, a meno di non richiedergli di dire proprio ciò che ha scelto di non rivelare per non mettere in pericolo se stesso o il suo nucleo familiare.

Senza farne elemento preclusivo, ove non allegate, si poterebbe però valorizzare l’emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione.

5. Con attenzione rivolta al dato letterale della riscrittura del comma 1-bisdell’art. 4-bissi osserva come non sia di agevole comprensione ciò a cui si vuol fare riferimento con l’inciso del primo periodo del nuovo comma 1-bis “al di fuori dei casi già espressamente esclusi dalla legge”. È allora da chiedersi se sia necessario mantenere tale inciso. 

Il comma 1-bis introduce una deroga alla previsione della necessità della collaborazione per i condannati alla pena perpetua. Se quell’inciso non è già collocato nel comma 1 non si vede la ragione di introdurlo nel comma 1-bis: rischia di ingenerare incertezze.

Si prevede, come condizione per l’ammissione ai benefici, che il condannato alla pena perpetua abbia adempiuto integralmente le obbligazioni civili e le riparazioni pecuniarie. Anche sul punto non è di agevole comprensione a cosa fi voglia fare riferimento distinguendo le obbligazioni civili dalle riparazioni pecuniarie. Quale la ragione del richiamo esclusivamente alle riparazioni pecuniarie, in luogo delle riparazioni del danno da reato.

6. Positiva è la distinzione nel testo tra onere di allegazione specifica del condannato, da un lato, e dovere di accertamento e di verifica dell’assenza di perduranti collegamenti del reo con la criminalità organizzata, dall’altro, che grava invece sul magistrato di sorveglianza.

L’onere a carico del condannato attiene alla “specifica” allegazione di “congrui, specifici elementi concreti”, che consentano di escludere con certezza l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata…

V’è forse un eccesso di aggettivazione, che non giova ad orientare meglio l’interprete. Si può evitare di aggettivare l’allegazione e di fare riferimento a elementi concreti. È sufficiente il rifermento a specifici elementi.

Si potrebbe poi mutare la formula, per non dare l’idea che l’onere di allegazione nasconda un non accettabile onere di prova. 

Si potrebbe dire così: “e possa escludersi l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, o il pericolo che tali collegamenti siano ripristinati, anche sulla base dell’allegazione, ad opera del condannato, di elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla dichiarazione di dissociazione dall’associazione criminale di appartenenza”.

7. Potrebbe essere forse eliminato il riferimento all’accertamento dell’assenza di legami con “il contesto nel quale il reato è stato commesso”. Sembra invero formula inaccettabilmente equivoca, vaga, che si presta ad essere riempita dei più svariati e, quindi, arbitrari contenuti in sede applicativa.

Non si comprende poi cosa possa significare che l’accertamento sulla non attualità di collegamenti e dell’assenza di pericolo di collegamenti debba compiersi tenendo conto “delle circostanze personali e ambientali”. Non v’è necessità alcuna dell’inserimento di questo parametro, peraltro pur esso vago e assai poco orientativo. L’eliminazione di tale inciso forse fare acquistare in chiarezza il testo proposto.

Art. 4-bisl. n. 354 del 1975: comma 2

1. Ai fini della decisione sulla richiesta di benefici la Magistratura di sorveglianza dovrà acquisire informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica non del luogo di detenzione, come è oggi, ma di quello del luogo ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado. Non si comprende fino in fondo il senso della innovazione. Se si vuole far riferimento al luogo di commissione del fatto oggetto di condanna è meglio dirlo espressamente. 

Art. 4-bisl. n. 354 del 1975: comma 2-ter.

1. Gli organi inquirenti interpellati per i pareri dovrebbero essi fornire gli elementi informativi al giudice invece che fare istanze istruttorie. Sono già in grado, appunto perché organi inquirenti, di raccogliere o disporre delle informazioni necessarie. Istanze istruttorie fatte da soggetti che non sono partecipi del procedimento di sorveglianza mi sembra previsione alquanto eccentrica. Potrebbero al più veicolare tali istanze per mezzo del pubblico ministero che prende parte al procedimento di sorveglianza, anche per non sottrarre la valutazione sulle istanze istruttorie al contraddittorio camerale.

2. Nessun rilievo rispetto all’obbligo di motivazione rafforzata per il caso di accoglimento della richiesta di benefici nonostante il parere contrario degli uffici inquirenti. Sembra però eccessivo arricchire la previsione dell’obbligo di motivazione rafforzata con il seguente inciso: “nonché gli ulteriori elementi che consentono di superare i motivi ostativi indicati nei pareri del pubblico ministero e nelle informazioni fornite dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente”. Se, infatti, il giudice deve già spiegare le ragioni per le quali ha superato il contrario parere reso dagli uffici inquirenti, è ovvio che è tenuto a dare conto degli elementi che, di contro, giustificano la decisione favorevole. Il riferimento poi alle informazioni del comitato provinciale…sembra impreciso. Si tratta, appunto, di informazioni e non di pareri, e quindi di elementi oggettivi da cui trarre indicazioni e non valutazioni rispetto alle quali la decisione possa porsi in senso favorevole o contrario.

In generale sul nuovo art. 4-bisl. n. 354 del 1975

1. Sul piano dell’impatto sugli uffici giudiziari, è prevedibile che si avranno problemi organizzativi per i Tribunali di sorveglianza, che saranno chiamati ad esaminare un numero rilevante di istanze. Sipotrebbe, dunque, valutare un rafforzamento della riserva di collegialità per le misure relative ai condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis, evitando provvedimenti provvisori del singolo magistrato di sorveglianza. Tanto verrebbe in parte incontro anche alle esigenze, da taluno prospettate, di ridurre la sovraesposizione e assicurare la tendenziale uniformità interpretativa.

Sarebbe essenziale un potenziamento, con relativo impegno di spesa, degli Uffici di sorveglianza che dovranno gestire il maggior carico: si pensi, a tal proposito, al fatto che i Tribunale di sorveglianza sono esclusi dalla misura organizzativa dell’Ufficio per il processo.

Art. 58-quaterl. n. 354 del 1975

1. Presenta alcuni aspetti problematici anche il nuovo testo dell’art. 58-quater. In base alla nuova formulazione, invero, il condannato all’ergastolo per reato ostativo potrebbe accedere alla liberazione condizionale – per effetto delle detrazioni maturate a titolo di liberazione anticipata sul nuovo termine individuato in trenta anni dal riformulato art. 176 c.p. – in un momento anteriore a quello – pari a trenta anni in base alla nuova disciplina di cui all’art. 58-quater, che aumenta fino alla metà il termine di venti anni indicato nell’art. 50, comma 5 (nel testo unificato si richiama il comma 4 dell’art. 50. Probabilmente si tratta di un errore perché il termine per gli ergastolani è indicato al comma 5), imponendone anche il carattere di effettività – in cui sarebbe possibile accedere alla semilibertà, beneficio invece naturalmente prodromico rispetto alla liberazione condizionale – si richiamano, in proposito, le argomentazioni della Corte costituzionale, nella sentenza n. 149 del 2018, sul necessario rispetto della logica gradualistica che ispira la legislazione penitenziaria –.

2. Si aumentano i limiti di pena da espiare per i detenuti non collaboranti, anche se condannati a pena temporanea e non perpetua. L’intervento di novella sull’art. 4-bis non riguarda i detenuti per pena temporanea, e allora non pare agevolmente comprensibile la modifica, meglio: l’aggravamento, per tale categoria di detenuti. Se l’obiettivo è di incentivare la collaborazione, allora bisognerebbe limitare l’aumento delle soglie di pena, per ragionevole corrispondenza, in riguardo ai detenuti condannati alla pena perpetua.

3. Manca una disciplina transitoria sugli aumenti di pena da espiare per accedere ai benefici penitenziari da parte del non collaborante che non possa collaborare o la cui collaborazione sia irrilevante per il ruolo marginale avuto nella commissione del delitto. Per il caso in cui non si intenda ripristinare la disciplina di maggior favore oggi esistente per questo tipo di non collaboranti, è ovvio che l’aumento di pena non potrà interessare quanti tra costoro abbiano commesso i fatti oggetto di condanna prima della novella che aggrava il trattamento penitenziario (corte cost., n. 32 del 2020).

4. Si potrebbe forse ipotizzare un regime “rafforzato” dell’art. 58-quater (che, in caso di revoca dibenefici penitenziariper fatto colpevole, prevede il divieto di concessione di misure alternative per la durata di tre anni); tale effetto potrebbe realizzarsi tramite l’elevazione del termine di durata della preclusione per il caso in cui la revoca sia stata disposta nei confronti di un condannato, non collaborante, per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis.

Art. 177, comma 2, cod. pen.

1. Si prevede, per l’ergastolo non collaborante che sia stato ammesso alla liberazione condizionale, che l’effetto estintivo della pena si realizzi non già dopo cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale ma dopo dieci anni. Il fatto che non abbia collaborato può aver rilievo, senza atteggiarsi a indebita misura punitiva, a fronte di un percorso rieducativo che ha dato ottima prova, avendo raggiunto un sicuro ravvedimento e la mancanza di cause di revoca per lo stesso periodo del condannato all’ergastolo ammesso alla liberazione condizionale che abbia però collaborato? Può spingersi tanto oltre il rilievo da accordare alla mancanza di collaborazione?



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