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13 marzo 2022

Il CDC su proposta governativa di riforma del sistema elettorale del Csm

Il CDC dell’ANM, analizzata la proposta governativa di riforma del sistema elettorale del CSM , in discussione in Parlamento, osserva: i tratti caratterizzanti la nuova legge elettorale riguardano:



  1. l’ampliamento del numero di componenti del CSM, che passa da 24 a 30;

  2. l’elezione, di conseguenza, di 20 magistrati togati: 2 di legittimità, 5 pubblici ministeri, 13 magistrati che svolgono funzioni di merito;

  3. un sistema elettorale che, per i tre quarti è maggioritario e, per il restante quarto (e solo per i giudicanti di merito), è proporzionale;

  4. la previsione dell’elezione di 5 magistrati (appunto, di merito) con sistema proporzionale;

  5. la previsione di un numero minimo di candidature (pari a 6) per ciascun collegio;

  6. la previsione di quote di genere fra i candidati.


Il sistema concretamente proposto, pur presentando alcuni elementi di novità apprezzabili e in linea con quanto auspicato sia dalla stragrande maggioranza dei magistrati nella recente consultazione per via telematica che dallo stesso CDC (a maggioranza), ovvero la predilezione di un sistema proporzionale, nel suo complesso presta il fianco a molte critiche ed è caratterizzato da una contraddizione di fondo.


1. Il sorteggio è previsto per integrare il numero di candidati ove esso non raggiunga il numero minimo previsto.

In relazione alla previsione del diritto per i soli candidati sorteggiati ad astenersi dal lavoro giudiziario e a ricevere il trattamento di missione per recarsi in uffici diversi da quello proprio: se è vero che il candidato sorteggiato non ha scelto, appunto, di candidarsi (anche se potrebbe comunque dichiarare la propria indisponibilità, preventiva o successiva), la norma finisce per configurare una disparità di trattamento a danno dei candidati spontanei, per i quali non valgono le previsioni appena menzionate.


2. Il metodo elettorale

Si tratta di un sistema spiccatamente maggioritario (per i ¾), con un correttivo proporzionale minimo che finisce per assegnare, ai possibili eletti membri di gruppi minoritari, quasi esclusivamente una sorta di diritto di tribuna.

Nell’analisi si può partire da un dato di realtà, facendo riferimento alle ultime consultazioni proprio per l’elezione del CDC. Attualmente ci sono due gruppi che raccolgono una quota di consenso che supera, complessivamente, il 60% dei voti, con una prevalenza ora dell’uno ora dell’altro gruppo. Il residuo si divide fra almeno tre o quattro gruppi.

E’ pacifico prevedere che i due gruppi maggioritari possano ottenere, per ciascuno:


- un candidato di legittimità;
- due candidati pubblici ministeri;
- quattro candidati giudici di merito.


È ben vero che alle elezioni del CSM intervengono, nella scelta del candidato da votare, anche fattori diversi rispetto all’ispirazione e alla vicinanza culturale (ad esempio la conoscenza personale, la vicinanza “territoriale”), ma di norma questi fattori determinano scostamenti modesti, soprattutto in collegi nazionali o macro collegi come quelli ipotizzati.


Quanto ai cinque giudici da eleggere con il metodo proporzionale, nonostante il meccanismo di “scorporo” dei voti di chi riesce ad essere eletto nel collegio maggioritario, è difficilmente contestabile che tra essi vi saranno anche quelli (prevedibilmente almeno altri due) collegati agli esponenti dei gruppi maggiori.


Il “collegamento tra candidati” assomiglia molto alla creazione di vere e proprie liste, che il singolo “gruppo di candidati apparentati” avrà interesse a rendere la più lunga possibile (con candidature anche prevedibilmente destinate all’insuccesso ma capaci di attrarre voti “personali”, locali e di stima professionale), per aumentare il più possibile il totale dei voti utilizzabili nel collegio virtuale per la ripartizione dei cinque seggi proporzionali.


Sotto questo profilo un primo aspetto critico è stato individuato nella mancata previsione di un numero massimo di candidati “collegati” in ciascun collegio, che andrebbe più correttamente limitato, come - a scopo meramente esemplificativo avviene - per il caso delle elezioni al consiglio giudiziario, in un multiplo (ad esempio il triplo o il quadruplo) degli eletti.


Il risultato sarà quindi un Consiglio prevedibilmente composto, per la parte togata, da 16-17 consiglieri (su complessivi 20) appartenenti ai due gruppi di maggioranza, e 3-4 consiglieri divisi, si spera, fra gli altri gruppi.


Il sistema, dunque, produrrà una polarizzazione del consenso verso i due schieramenti maggioritari. L’obiettivo politico dichiarato dal riformatore sarà dunque necessariamente e chiaramente tradito, consegnando il Consiglio (quanto meno per la parte togata) in prevalenza ai due gruppi principali.


D’altro canto, il CSM non ha bisogno di maggioranze stabili, perché non ha necessità di sostenere un organo esecutivo. Al contrario, per ogni pratica potrebbe anche (e in alcuni casi sarebbe sicuramente auspicabile) formarsi una maggioranza diversa e l’organo continuare a funzionare perfettamente. E così sarebbe, paradossalmente ancora meglio, anche se i venti componenti fossero espressione di venti gruppi diversi.


Occorre ribadire, come sia illusorio pensare che l’intervento sul sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura possa, di per sé solo, offrire una soluzione alle criticità emerse con quella che è stata definita “degenerazione correntizia”, come dimostrato dal fatto che numerose volte (ben 7) è stato modificato il sistema elettorale, senza che nessun meccanismo sia stato in grado di risolvere il problema.


In conclusione, può rilevarsi come il sistema proposto, oltre a non risolvere il problema del condizionamento delle correnti nell’individuazione dei consiglieri eletti, rischia di aggravare la situazione emersa con l’applicazione di quello attualmente in vigore, marginalizzando, fino quasi ad eliminare, la possibilità di essere eletti in Consiglio per candidati indipendenti o rappresentativi dei gruppi minori.



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