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18 giugno 2010

L'Anm sul Ddl modifica sistema elettorale Csm

L'Anm sul disegno di legge di modifica del sistema elettoraledel CSM presentato dai senatori Magnalbò e Cavallaro.


L'Anm sul disegno di legge
di modifica del sistema elettorale del CSM presentato dai senatori
Magnalbò e Cavallaro.



1. I valori e gli
orientamenti condivisi della magistratura sul sistema elettorale
del Csm.



La magistratura italiana è da tempo
concorde nel ritenere che il metodo di elezione dei componenti
togati del Consiglio Superiore della Magistratura più
adeguato  alle caratteristiche ed alle funzioni dell'organo di
autogoverno è il sistema elettorale proporzionale con pluralità di
liste concorrenti nell'ambito del collegio unico nazionale.



Il metodo elettorale proporzionale
garantisce infatti, in linea di principio, una equilibrata e fedele
rappresentanza dei differenti orientamenti ideali e delle diverse
sensibilità istituzionali presenti nella magistratura. Inoltre la
rappresentanza proporzionale dei magistrati rappresenta uno dei
migliori antidoti contro la formazione, in seno al Csm, di
maggioranze precostituite che sono negative e dannose per un organo
che ha come suo principale compito quello di effettuare valutazioni
professionali e scelte relative ai singoli magistrati.



Per altro verso l'elezione
nell'ambito del collegio unico nazionale assicura l'effettiva
rappresentatività e la maggiore autorevolezza dei componenti togati
del Consiglio senza essere di ostacolo a rapporti di diretta
conoscenza e di personale fiducia tra elettori ed eletti,
ampiamente possibili in una categoria professionale che conta circa
9000 membri.



Infine il pluralismo delle liste
consente un proficuo confronto tra diversi programmi e,
soprattutto, differenti prassi di gestione del governo autonomo e
permette all'elettore di votare per il raggruppamento e per il
candidato che meglio risponde ai suoi personali convincimenti ed
orientamenti.



2. Il disegno di legge di
modifica del sistema elettorale del Csm presentato dai senatori
Magnalbò e Cavallaro. Gli aspetti positivi.



Alla luce di queste opzioni di
fondo e della complessiva elaborazione della magistratura sul tema,
il disegno di legge di modifica del sistema elettorale del Csm
presentato dai senatori Magnalbò e Cavallaro (Atto S. n. 3478)
merita apprezzamento e consenso per molte delle soluzioni adottate
ma suscita anche netti dissensi su determinate scelte.



Innanzitutto merita piena adesione
la proposta di riportare a trenta il numero complessivo dei
componenti del Consiglio superiore (venti magistrati e dieci membri
laici, nel rispetto della proporzione fissata dalla Costituzione),
che, a giudizio dell'A.N.M., costituisce un aspetto essenziale e
qualificante della proposta.



La crescita dei compiti del Csm,
che ormai "amministra" un numero sempre maggiore di magistrati -
ordinari ed onorari - e la indubbia complessità delle funzioni
svolte dell'organo di autogoverno hanno dimostrato l'irrazionalità
della scelta di ridurre a ventiquattro dei membri del Consiglio,
scelta  che ha privato di competenze e di energie le
Commissioni consiliari, impegnate in gravosi compiti di istruzione
e di accertamento degli affari.



Per altro verso la diminuzione del
numero dei componenti dell'organo di autogoverno incide
inevitabilmente anche sulla pluralità e sulla ricchezza degli
apporti culturali e tecnici e delle diverse sensibilità
istituzionali destinate a confrontarsi nella dialettica interna al
Consiglio Superiore.



Un meditato consenso va espresso
anche alla proposta di legge nella parte in cui mira a superare
l'attuale meccanismo elettorale "atomistico" (tutto imperniato su
autocandidature e su voti individuali), riconoscendo la dimensione
collettiva delle elezioni consiliari e ripristinando il sistema
delle liste concorrenti, fondamentale garanzia di una dialettica
consiliare chiara e responsabile.



Del pari apprezzabile, per la sua
aderenza al dettato costituzionale oltre che per la sua intrinseca
razionalità, è la proposta di legge nella parte in cui rispetta il
carattere per così dire "generale" dell'elettorato attivo: i
magistrati-elettori sono chiamati a concorrere con i loro voti alla
elezione di "tutti" i rappresentanti togati del Consiglio.
Peraltro, l'Anm ribadisce che la soluzione maggiormente aderente
allo spirito della Costituzione sarebbe quella di dividere la
rappresentanza dei magistrati in due sole categorie, legittimità e
merito, senza ulteriori distinzioni tra giudicanti e
requirenti.



Il disegno di legge suddivide
invece la rappresentanza dei magistrati in tre diverse "categorie"
corrispondenti a tre distinte aree di funzioni: a) funzioni di
legittimità requirenti e giudicanti svolte presso la Corte di
cassazione; b) funzioni requirenti svolte presso uffici di merito;
c) funzioni giudicanti svolte presso uffici di merito.



In sostanza la proposta prevede che
le elezioni dei rappresentanti della magistratura avvengano in tre
collegi elettorali, "unici" perché comprensivi di tutti i
magistrati aventi diritto di voto e "nazionali", perché coincidenti
con l'intero territorio nazionale.



In particolare nel primo di tali
collegi è prevista l'elezione di quattro magistrati esercenti
funzioni giudicanti o requirenti di legittimità; nel secondo
collegio si procede all'elezione di cinque magistrati che
esercitano le funzioni di pubblico ministero (o funzioni
equiparate); nel terzo collegio avviene l'elezione di undici
magistrati che svolgono funzioni giudicanti (o equiparate).



3. I punti negativi del
disegno di legge: a) la sovrarappresentazione in seno al Consiglio
dei magistrati della Corte di cassazione
.



Fermo il consenso di principio sul
meccanismo dei collegi unici nazionali per l'elezione dei
rappresentanti, va rilevato che la previsione di quattro
rappresentanti con effettive funzioni di legittimità risulta del
tutto sganciata dal numero dei magistrati che esercitano tali
funzioni e nettamente sovradimensionata rispetto al dato della loro
incidenza percentuale sull'organico della magistratura.



I magistrati che svolgono funzioni
di legittimità presso la Corte di cassazione rappresentano poco più
del 4% del totale dei posti in organico.



Il d.d.l. si propone dunque di
favorire l'ingresso nel Csm di un numero particolarmente elevato di
magistrati esercenti funzioni di legittimità, senza curarsi del
rapporto proporzionale di tale quota "riservata" con la consistenza
della categoria di estrazione.



Si tratta di una scelta chiaramente
contraddittoria poiché il criterio proporzionale che regge la
ripartizione in quote è immediatamente smentito e contraddetto dal
diverso criterio adottato per la quota riservata ai magistrati di
Cassazione.



Né a sostegno di questa opzione può
essere invocato il dettato costituzionale.  Nella sentenza n.
87 del 1982 la Corte costituzionale ha individuato come
costituzionalmente "necessaria" e "dovuta" l'elezione in seno al
Consiglio di magistrati con effettivo esercizio delle funzioni di
legittimità. ritenendo di dover "solo assicurare che i magistrati
di cassazione, investiti delle corrispondenti funzioni, non
rimangano esclusi dal Consiglio Superiore" ed ha rimesso a
valutazioni del legislatore ordinario le scelte in merito.



La legge 22 novembre 1985 n. 655 ha
poi provveduto in tal senso costituendo una riserva di due posti in
Consiglio per i magistrati di cassazione con effettivo esercizio
delle funzioni di legittimità, anche al fine della provvista di un
componente effettivo e di un componente supplente della Sezione
disciplinare del Consiglio.



In conclusione sul punto.



Il progettato aumento dei
Consiglieri Superiori provenienti dalle fila della Cassazione è
soluzione irrazionale e inaccettabile sotto il profilo della
complessiva rappresentatività dell'organismo consiliare.



Né tale soluzione può essere
sorretta da argomenti fondati sulla peculiare natura delle funzioni
di legittimità o sulla professionalità.



La Costituzione stabilisce che i
magistrati si distinguono tra di loro solo per funzioni (art. 107,
3 comma Cost.); di modo che non esiste nel nostro ordinamento una
magistratura "alta"abilitata a svolgere un ruolo di primazia e di
comando rispetto ad una magistratura "bassa" o "minore". Lo
svolgimento di funzioni di legittimità - di cui ovviamente si
riconosce la grande importanza - non vale di per sé a fondare alcun
privilegio sul piano della rappresentanza e del ruolo da esercitare
in seno all'organo di autogoverno.



Nell'affrontare questo tema occorre
inoltre avere costantemente presente che nel Consiglio siedono e
svolgono un ruolo di primo piano, come membri di diritto e
componenti del Comitato di Presidenza, il Presidente della Corte di
cassazione ed il Procuratore generale della Corte.



Una riserva di quattro posti per i
magistrati di legittimità, unita alla presenza in Consiglio dei due
più alti esponenti della Corte di cassazione, attribuirebbe perciò
ad un'area professionale che supera di poco il 4% della intera
magistratura un peso superiore al 25% della componente consiliare
togata (6 su 22), dando vita ad una composizione fortemente
squilibrata dell'organo.



Sotto questo aspetto, dunque, si
ritornerebbe ad un assetto del Csm simile a quello delineato dalla
legge 24 marzo 1958, n. 195 (che assicurava la presenza di sei
magistrati di Cassazione su quattordici rappresentanti togati) ed a
quello contenuto nella legge 18 dicembre 1967, n. 1198 (che
garantiva l'elezione di almeno quattro rappresentanti della Corte
di cassazione nell'ambito della rappresentanza dei togati); assetti
che sono stati superati dal legislatore proprio perché si sono
rivelati inadeguati a rappresentare in tutte le sue articolazioni
la realtà della magistratura ed a garantire la migliore
funzionalità dell'istituzione consiliare.



La migliore soluzione appare perciò
quella di mantenere a due il numero dei rappresentanti della Corte
di cassazione in seno al CSM e di aumentare il numero dei
rappresentanti negli altri due collegi unici nazionali nel rispetto
della consistenza numerica delle categorie nell'ambito della
magistratura.



4. L'eccessivo numero di
preferenze.



Considerazioni critiche vanno
svolte anche sul numero di preferenze da esprimere per le elezioni
che - nel disegno di legge Magnalbò-Cavallaro - sono due nel
collegio che elegge magistrati della Cassazione, tre nel collegio
per l'elezione dei pubblici ministeri e quattro nel collegio per
l'elezione dei giudici.



E' indiscutibile che l'elettore
deve poter esprimere la sua preferenza per l'uno o l'altro dei
candidati presenti nelle diverse liste in competizione.



Ma è un fatto che la previsione di
un numero di preferenze troppo elevato rispetto al numero dei
rappresentanti da eleggere ha già dato cattiva prova di sé in
passato, favorendo fenomeni di collegamento a fini puramente
elettoralistici di candidati all'interno delle diverse liste e
compromettendo i guadagni di chiarezza programmatica e di
trasparenza gestionale che si ottengono attraverso il sistema delle
liste concorrenti.



Sembra perciò nettamente da
preferire una drastica riduzione del numero delle preferenze, che
salvaguardi il diritto dell'elettore a manifestare il suo voto per
un particolare candidato e nel contempo eviti gli effetti dannosi
di aggregazioni e collegamenti impropri tra candidati di una stessa
lista diretti solo a massimizzare il numero delle preferenze.



5. Il silenzio della proposta di legge in tema di quote da
riservare a candidature femminili nelle liste
elettorali.



E' infine da valutare il "silenzio"
serbato dalla proposta di legge su di un tema che è attualmente
oggetto di vivaci dibattiti in sede di elaborazione di proposte di
legge in materia elettorale a vari livelli: la previsione di quote
obbligatoriamente riservate a candidature femminili nelle liste
elettorali (c.d. quote di chances).



L'Anm è consapevole  che la
discussione in corso all'interno della magistratura e nel paese su
questa tematica non ha ancora raggiunto risultati condivisi e
generalmente accettati sulle "tecniche" da adottare (quote di
chances o quote di risultato).



Un dato però appare certo: la
grande crescita del numero di donne che scelgono il lavoro di
magistrato e gli straordinari apporti di capacità culturale e
tecnica oltre che di sensibilità e di dedizione al lavoro che le
donne stanno dando alla giurisdizione impongono (anche) che esse
siano adeguatamente e pienamente presenti anche nell'organo di
autogoverno, pena una sua perdita di rappresentatività.



In quest'ottica sembra matura la
introduzione di quote riservate per legge a candidature femminili
nelle liste elettorali (c.d. quote di chances).




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